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Perché la presidente della Tanzania ha cancellato le cerimonie ufficiali per l’anniversario dell’indipendenza

In Tanzania, dopo il massacro post-elettorale, la presidente Hassan cancella le celebrazioni dell'indipendenza e attacca l'Occidente
Perché la presidente della Tanzania ha cancellato le cerimonie ufficiali per l’anniversario dell’indipendenza
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“Là fuori, si siedono e dicono: ‘Oh, la Tanzania deve fare questo, deve farlo, deve fare l’altro. Ma voi chi siete? Pensano ancora di essere i nostri padroni, che sono i nostri colonizzatori.”

Così parlò Samia Suluhu Hassan, presidente della Tanzania. Parole sprezzanti diventate virali mentre attaccava quei governi e istituzioni occidentali che (dopo aver assistito alla reazione armata contro migliaia di ragazzi della Gen Z tanzaniana) hanno avuto l’ardire di suggerire “moderazione” e “rispetto dei diritti umani”.

Oggi 9 dicembre è il 64esimo anniversario dell’indipendenza del paese dall’Inghilterra, ma il governo di Samia Suluhu Hassan ha cancellato tutte le cerimonie ufficiali e imposto il divieto assoluto di qualunque tipo di manifestazione pacifica. In strada in queste ore non ci sono le bandiere, ma l’esercito armato. Non solo, ma attraverso avvisi sms di massa inviati alla popolazione la polizia ha chiesto a chiunque di segnalare eventuali possibili attivisti sospetti. Usare il registro dell’orgoglio sovrano significa trasformare la tragedia in scenografia retorica.

Diciassette Paesi europei insieme agli Stati Uniti e al Canada hanno ufficialmente protestato contro il governo per le uccisioni avvenute il 29 ottobre, giorno delle elezioni in cui Samia Hassan ha ottenuto il 98% dei voti; un risultato non plausibile in netto contrasto con le dinamiche osservate nel processo elettorale da cui sono stati esclusi i principali candidati dell’opposizione, tra cui Tundu Lissu di Chadema, arrestato ad aprile.

In molti descrivono gli eventi come un massacro: si parla di oltre 2.000 morti, mentre il governo non ha ancora fornito cifre ufficiali. Perché i morti, si sa, è meglio non contarli quando diventano troppi e imbarazzanti. Un’inchiesta della CNN ha documentato poliziotti che sparano a manifestanti disarmati e ha individuato segni di fosse comuni a nord di Dar es Salaam. Fosse comuni, sì avete letto bene, fosse comuni.

Un “Chi siete voi?” che funziona perché intercetta un sentimento reale di umiliazione storica verso l’Europa, ma lo piega a parafulmine di comodo: invece di aprire un confronto serio su come uscire dalla dipendenza dagli aiuti, o governare al meglio un paese nel XXI secolo, serve a zittire chi denuncia torture, sparizioni, abusi di polizia, dalle Ong locali alle vittime straniere. Perché chi scende in piazza non è più un cittadino in disaccordo, ma un potenziale destabilizzatore “di un regime mascherato da democrazia”, categoria elastica quanto basta per giustificare l’uso letale della forza e le detenzioni di massa. La violenza delle élite è sempre legittimata, benedetta, infiocchettata con i colori della bandiera, quella dal basso è da sempre demonizzata e usata per screditare ogni movimento giovanile.

“Quello che è successo è stato un evento orchestrato, e chi lo ha orchestrato aveva intenzioni serie. Volevano rovesciare il governo di questo paese, il nostro paese” ha detto la presidente. Come se i giovani tanzaniani fossero tutti decerebrati incapaci di pensare con la propria testa, bisognosi di un regista straniero per scendere in strada.

L’idea di fondo è che la versione statale degli eventi sia “non negoziabile” anche a costo di tensioni diplomatiche e di un peggioramento della reputazione internazionale della Tanzania. Alle celebri 4R fondanti del programma politico di Samia – Riconciliazione, Resilienza, Riforma, Ricostruzione – verrebbe quasi spontaneo affiancarne oggi altre quattro: Repressione, Regressione, Rassegnazione, Rottura.

La formula “Who are you?”, brandita contro Ue e governi occidentali, è uno slogan ipocrita se messo di fianco ai corpi senza nome e senza vita del 29 ottobre e ancor di più ai miliardi che tengono in piedi il bilancio tanzaniano attraverso aiuti delle istituzioni europee, dei cittadini europei e del terzo settore. La presidente non ha detto “”Who are you?” quando tra il 2014 e il 2020 ha incassato dall’Unione Europea 626 milioni di euro per il suo paese, non lo ha detto nemmeno quando tra il 2021 e il 2027 Bruxelles ha messo sul suo tavolo un piano per altri 585 milioni.

Ma quel “chi siete?” non è rivolto solo a Bruxelles o Washington; rimbalza anche – effetto boomerang garantito – sulle madri e sui padri che reclamano i corpi dei loro figli, a cui il governo non ha detto la verità, e che si sentono dire implicitamente che ogni domanda sulla repressione è un favore fatto ai “padrini stranieri”. Ma oggi chi risponde delle persone torturate, delle pallottole sparate a bruciapelo, delle menzogne ripetute con faccia tosta? La vera domanda forse è un’altra: chi rappresenta veramente Samia Suluhu Hassan?

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