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Honduras in stallo istituzionale e senza presidente: lo schema da guerra fredda degli Usa che ha avvelenato il clima politico

Con lo scrutinio bloccato e accuse di brogli, la Casa Bianca si schiera apertamente per il candidato conservatore Asfura, ignorando le denunce di ingerenze e destabilizzando ulteriormente un Paese già sull'orlo della crisi istituzionale
Honduras in stallo istituzionale e senza presidente: lo schema da guerra fredda degli Usa che ha avvelenato il clima politico
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I seggi in Honduras si sono chiusi una settimana fa. Ma il Paese non conosce ancora il successore della presidente uscente, la socialista Xiomara Castro, non gradita all’amministrazione Usa. L’elezione si è svolta sotto lo sguardo vigile di Donald Trump, che ha monitorato da vicino l’andamento del voto ed è intervenuto a più riprese per influenzare il voto degli honduregni. “La democrazia è in gioco”, aveva scritto su Truth tre giorni prima del voto, ponendo gli elettori davanti a un bivio: “Maduro e i suoi narcoterroristi prenderanno il controllo? Chi difende la democrazia e la lotta contro Maduro è Tito Asfura“. Schema da guerra fredda: non più candidati, ma scelte geopolitiche da compiere. Per far contenta Washington – che ha messo sul piatto gli investimenti nel Paese – occorreva votare Asfura mentre gli altri due candidati – la socialista Rixi Moncada (nella foto) e il liberale Castro – erano sinonimo di “narcoterrorismo”. Salvador Nasralla, candidato del Partito Liberale, ha reagito con scaltrezza dicendo che, una volta eletto presidente, avrebbe rotto con il Venezuela, mentre Moncada è rimasta fedele alla sua mentore Castro, restando fuori dai giochi. Lo zampino degli Stati Uniti non ha fatto che peggiorare un clima politico già teso tra i candidati in corsa, sboccato in uno stallo istituzionale senza precedenti: il conteggio è fermo da venerdì, con l’88% dei verbali registrati: Asfura è in testa con il 40,19% dei voti, seguito da Nasralla col 39,49% e infine Moncada con il 19,30% (543.675). “Problemi tecnici”, giustifica il Consiglio nazionale elettorale. E non basta riprendere il conteggio. Quasi un quarto dei verbali di scrutinio, 2.407 unità, risente di “errori e inconsistenze” e sarà d’obbligo aprire le urne, contando voto per voto.

Dietro le quinte – Più che i “problemi tecnici” e strutturali – pesa anche il sistema di voto first-past-the-post, a turno unico – preoccupano le tensioni politiche, con il vicino statunitense sempre pronto ad agitare le acque. Ne è un esempio l’indulto all’ex presidente (2014-2022) Juan Orlando Hernández, dello stesso partito di Asfura, arrestato a Tegucigalpa nel 2022 e condannato negli Usa per i suoi link con il narcotraffico e in particolare con Joaquín “El Chapo Guzman”. “È stata una trappola dell’amministrazione Biden” e “una cospirazione dell’estrema sinistra”, aveva detto Trump, contravvenendo la presunta linea dura anti-narcos degli ultimi mesi pur di favorire e legittimare i conservatori, che hanno promesso il pieno allineamento di Tegucigalpa con gli Stati Uniti. Ma non è tutto qui. Secondo Infobae Washington ha anche influenzato l’esercito honduregno telefonando direttamente il generale Roosevelt Hernández ed esortandolo a “garantire il voto” e “non rompere file”. Ergo: Hernández doveva far saltare il piano della presidente Castro, che avrebbe “predisposto l’apparato logistico dello Stato” per favorire il delfino Moncada, “dichiarando anche lo stato d’eccezione in Honduras”.

Ingerenze post-voto. Lo scenario – Altro atto di ingerenza si è verificato domenica 30 novembre, a urne chiuse, al primo stop nel conteggio dei voti, con meno della metà dei verbali registrati. Squilla di nuovo il telefono a Tegucigalpa. Chiamano da Washington. “Perché il conteggio non va avanti?”. Questa volta colpa è del Consiglio nazionale elettorale, che non è un organo super partes, ma conta un membro per ogni candidato. A fermare il conteggio era stata la Ana Paola Hall, della fazione di Nasralla, cercando di favorire il suo candidato, che secondo lei aveva vinto le elezioni, e denunciando “inconsistenze e gravi errori in almeno 5mila verbali”. Arriva così un altro post avvelenato di Trump: “Cercano di alterare i risultati”. E poi: “Se lo fanno sarà uno scandalo”. Il conteggio riprende con intermittenza e si è fermato venerdì. Qualche ora fa il Consiglio nazionale elettorale ha assicurato la ripresa del conteggio – su pressioni Usa –, ma Moncada afferma che non riconoscerà i risultati, condizionati dall’”ingerenza e dalla coazione di Trump” e convoca il Paese nelle strade per il prossimo 13 dicembre.

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