La Colombia vieta il reclutamento di mercenari. Il presidente Petro: “Zelensky liberi i nostri ragazzi trattenuti in Ucraina”
Duro colpo al mercenarismo, d’ora in poi vietato per legge in Colombia, pronta a “interrompere l’industria di sangue” che ha trasformato Bogotà nel “più grande serbatoio di soldati privati al mondo”, con almeno 4mila combattenti sparsi nei diversi conflitti, tra cui Ucraina, Sudan e Yemen. Nel mirino finiscono le compagnie private: saranno fino a 22 anni di reclusione per “attività di reclutamento”, “offerte ingannevoli” e altri “mezzi di adescamento”. La proposta (n. 156/2024), sostenuta dal Ministero della Difesa, è passata alla Camera dei rappresentanti, con 94 voti favorevoli e 17 contro. Il Paese ratifica così la “Convenzione contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari” delle Nazioni Unite trentasei anni dopo la sua approvazione. Il Paese sudamericano si lascia alle spalle decenni di attesa, ostacoli e intromissioni delle lobby e delle compagnie private.
L’appello di Petro. Ma la vera partita inizia adesso. Ne è consapevole il presidente Gustavo Petro, in procinto di sancire la norma e intervenuto venerdì in occasione di una cerimonia di promozione dei sottotenenti delle Forze aerospaziali colombiane: “Sono lì i video dei ragazzi (colombiani, ndr) in Ucraina che cercano di uscire e non glielo permettono”. A tale proposito il ministero degli Esteri di Bogotà ha fatto pervenire al governo di Volodymyr Zelensky la richiesta di “liberare i mercenari colombiani” rapiti a Kiev perché “quella non è la nostra guerra” e “non deve neppure diventarlo”. L’Ucraina – che ha finora giustificato l’ingaggio di leve straniere sotto il cappello della controversa Legione internazionale – non ha ancora fornito riposte ufficiali all’appello del capo di Stato colombiano. “Né russi né ucraini ci hanno mai fatto del male”, ha detto Petro, per il quale la Colombia “non è più disposta a tollerare che i soldati formati con i soldi pubblici di Bogotà” mettano le loro conoscenze “al servizio dei narcos o di guerre altrui”, nelle quali “non ci vengono neppure restituite le salme dei caduti”. E ancora: “Non possiamo permettere che la Colombia continui ad essere vista come un fornitore di mercenari, l’esportatore di morte nel mondo. Vogliamo essere una potenza della vita”.
Il dibattito. La proposta è stata fortemente contestata dalle opposizioni a destra, tra cui Centro Democrático, dell’ex-presidente Alvaro Uribe Vélez, e Cambio Radical, diretto da German Vargas Lleras per i quali la Convenzione Onu non andava ratificata da Bogotà, visto che “neppure Washington lo ha ancora fatto”. Ma non solo. Per le destre colombiane la nuova legge avrebbe leso il diritto di “migliaia di militari in pensione” di continuare a offrire i loro servizi all’estero. La ratifica della convenzione, si sa, aiuterà Bogotà a “dotarsi di strumenti legali per affrontare il fenomeno da diverse prospettive: dalla codificazione dei reati al rafforzamento della cooperazione giudiziaria”, ha commentato il ministro della Difesa Pedro Arnulfo Sánchez. Si parla anche di “prevenzione” affinché “la violenza non sia messa sul mercato”.
Palazzo di Nariño conferma che la legge è indirizzata contro “agenzie di reclutamento e finanziatori“, ritenuti i “principali artefici di dinamiche ingannevoli che trasformano i veterani in carne da macello, senza diritti legali”. La norma introduce anche una prospettiva riparativa, dove “molte persone reclutate come mercenari” siano riconosciute come “vittime di reti criminali internazionali”. Persino l’Eln, l’Ejercito de liberación nacional, si è fatto portavoce di queste istanze denunciando la longa manus compagnie private come Constellis (l’antica Blackwater, fondata da Erik Prince), la colombiana A4SI, diretta dall’ex-colonnello Alvaro Quijano e Global security services group (Gssg), con sede negli Emirati Arabi Uniti.
La portata del fenomeno. L’argomento è stato portato al centro del dibattito dalla testata locale Lasillavacía.com. Tra i punti più dolenti: la situazione dei mercenari in Ucraina – sono morti più di 300 in questi anni di guerra – l’improvvisa uccisione di 40 combattenti, che lottavano per le Forze di appoggio rapido, in Sudan e il coinvolgimento di 26 ex-soldati nell’omicidio dell’allora presidente haitiano Jovenel Moïse avvenuto nel 2021. Sempre su Lasillavacía Jaime Gómez Alcaraz spiega che il Paese conta su “una considerevole riserva di personale militare, altamente addestrato, dopo decenni di conflitto armato interno. Tuttavia la transizione a vita civile per molti ex-combattenti è stata segnata da precarietà lavorativa, pensioni basse, mancato reinserimento sociale”. In numeri: tra una pensione di 300 dollari – ce ne vogliono dai mille ai 2mila per vivere a Bogotà – e uno stipendio da 4.800, offerto da un contractor, in molti scelgono il secondo. Qui l’altra sfida: se dinamica persiste il mercenarismo potrebbe spostarsi dall’attuale zona grigia al mercato nero.