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Il destino di Lalleshwari, nuda nel nome di Dio

Il potere religioso ha imparato a chiamarla santa, poi poetessa. Ma la forza della mistica vissuta in Kashmir nel XIV secolo stava nel rifiuto di ogni appartenenza
Il destino di Lalleshwari, nuda nel nome di Dio
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Quando si cerca Dio bisogna sciogliersi come neve all’acqua.
E Lalleshwari voleva provarci davvero, iniziando a fare quello che nessuno fa: invece di migliorare la propria vita, ha messo in discussione l’idea stessa di averne una. Se esiste qualcosa come l’Assoluto, pensava, non può stare accanto al resto, ma deve mangiarselo. Nel linguaggio dei filosofi si parlerebbe di Uno, emanazione, ritorno.

Lei non conosceva quelle parole. Aveva però i pozzi del villaggio, il freddo del Kashmir, il corpo che invecchiava, e li faceva passare nella lingua, nella fatica, nel respiro. Così, quando si è tolta i vestiti, si è tolta anche la paura di appartenere a qualcuno, che fosse un marito o una casta. Non ha più accettato che il nome di Dio servisse a tenere in piedi la sua gabbia.

Guardava con sospetto il modo in cui si parlava del divino, le formule in sanscrito, le parole alte che dicevano tutto di Dio e molto poco della fame. Lalla aveva capito che quel linguaggio non la riguardava, non perché fosse atea, ma perché la fede, così, era diventata un muro. Ha scelto di tradire quella architettura. Ha preso il nome più grande, Dio, e lo ha portato in strada con la lingua dei campi.

I suoi vakh sono nati come sabotaggio Brevi frasi in kashmiro, dette a voce, senza pergamene né autorizzazioni.
La comunità l’ha sempre vista come una minaccia. Una donna che prega fuori dal tempio, che parla di Dio senza intermediari, che rifiuta l’ordine dell’obbedienza, era sicuramente un corpo sbagliato. Per questo veniva derisa, ma allo stesso tempo temuta e venerata.

Lalla non ha cercato di convincere nessuno, ha semplicemente smesso di collaborare con l’idea che Dio coincida con le regole sociali. Ha cercato di smontare il linguaggio della mistica, le promesse di premio e le minacce del castigo. Ha iniziato un lavoro di disarmo, togliendo al pensiero ogni alibi, ogni tentativo di “capire” Dio diventava sospetto, come una pretesa di possesso.

Il potere religioso ha imparato a chiamarla santa, poi poetessa. Ma la sua forza stava nel rifiuto di ogni appartenenza: era una brahmanica che tradiva la casta; una donna che rifiutava il copione femminile; una figura che parlava una lingua amata da induisti e sufi, senza diventare bandiera di nessuno. Lalla era un’infedeltà permanente.

Il lascito di Lalleshwari è che la trasformazione spirituale non è un’esperienza consolante ma uno strappo. E non avviene quando troviamo le parole giuste, ma quando smettiamo di usarle per coprire ciò che non vogliamo vedere. Lei ha mostrato che non si può pronunciare il nome di Dio e, nello stesso tempo, continuare a difendere i propri privilegi. Ha dimostrato che una coscienza che ama sul serio il divino non si eleva, ma perde pezzi fino a diventare irricevibile per l’ordine comune.

Lalla non è mai riuscita a sistemare Dio in un posto che la lasciasse tranquilla. Ha vissuto senza protezioni tra l’Uno e il fango, senza mai mettersi al sicuro.

Bio – Lalleshwari, chiamata Lalla o Lal Ded, nasce nel XIV secolo nel Kashmir in una famiglia brahmanica. Sposa giovanissima, abbandona la vita domestica e intraprende un cammino spirituale legato allo Shaivismo kashmiro, in dialogo sotterraneo con la sensibilità sufi. I suoi vakh, canti brevi in lingua kashmira, circolano oralmente per secoli prima di essere raccolti: frammenti di una ricerca radicale sulla dissoluzione dell’io e sulla presenza del divino nella vita quotidiana. È oggi riconosciuta come una delle voci più potenti della mistica del Kashmir, venerata oltre i confini religiosi.

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