Società

Colpisce il racconto di Marc Innaro sulle pressioni in Rai. Covid, Ucraina e Gaza: fenomeni legati da un filo sottile

Lo storico inviato Rai in Russia e il dissenso. È necessario resistere in modo nonviolento a questa sciocca ferocia, spacciata per “Difesa” delle nostre vite

di Sara Gandini e Paolo Bartolini

I social non sono sempre luoghi di deprimente appiattimento, politico e culturale: a volte permettono di far circolare interventi e informazioni che non ottengono spazio nei telegiornali e sulla stampa mainstream. In particolare ci ha colpito uno spezzone rivelatore del giornalista Marc Innaro nel quale questo professionista dalla schiena dritta racconta il clima di censura e intimidazione a cui sono stati soggetti coloro che hanno voluto semplicemente offrire una prospettiva alternativa su quanto stava (e sta) accadendo all’incrocio dei tre punti dirimenti dell’attuale età dell’emergenza: la gestione pandemica, la guerra in Ucraina, il genocidio (ancora in corso) che Israele sta portando avanti ai danni dei palestinesi.

Innaro ha spiegato in modo chiaro come in Rai si è fatto di tutto per scoraggiare i giornalisti a fare il loro lavoro e testimoniare ciò con cui venivano a contatto. Durante una intervista a Che tempo che fa, Innaro ha infatti raccontato che in Russia la gestione della pandemia era meno “blindata”, più attenta a non opprimere angosciosamente la popolazione usando misure di buon senso, come permettere ai supermercati di avere orari prolungati, pagati dallo stato, e mezzi pubblici più frequenti per evitare affollamenti.

Inoltre ha spiegato come in Russia si parlasse di una sperimentazione che sembrava dare buoni risultati contro la Covid-19 come la terapia con il plasma iper-immune, e a quel punto Burioni, ospite fisso dell’epoca, pensò bene di tuonare contro Innaro accusandolo di antiscienza. Quando poi di fatto la sperimentazione ha dimostrato risultati ottimi ed è stata pubblicata su riviste molto importanti.

Sappiamo benissimo, in seguito, come lo stesso giornalista sia stato “allontanato” per le sue misurate osservazioni sulla vicenda russo-ucraina, da fine conoscitore della storia precedente al febbraio 2022, solo per aver ricordato che l’invasione dell’Ucraina non era comprensibile senza dare il giusto peso ai timori russi circa l’espansione della Nato ad est.

Infine, giunto in Egitto proprio in concomitanza con l’esplosione della furia militare israeliana, Innaro ha sentito altre pressioni che gli impedivano di raccontare il punto di vista di chi denunciava il genocidio, decidendo alla fine di uscire dal circuito Rai.

Tutto questo conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che i fenomeni più eclatanti di questi cinque anni sono legati da un filo sottile. Nessuna cospirazione o piano segreto per sterminare l’umanità. Piuttosto un consolidarsi di strategie di controllo dell’opinione pubblica e di repressione del dissenso, funzionale a interessi sfumati e convergenti. Da quelli del neoliberalismo di guerra (atlantista ed europeo) a quelli delle aziende farmaceutiche, per arrivare a quelli legati alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale (vedi Draghi: “se non ti vaccini contagi e muori” e “se l’Europa non investe sull’Ai muore”).

Evitare le polarizzazioni superficiali e andare in profondità significa oggi riconoscere che la logica bellicista (già presente nella retorica della governance pandemica, con il Nemico da sconfiggere, i sacrifici eroici, i disertori da punire e i delatori da premiare) ha saturato quasi ogni angolo dell’informazione, della politica, dell’economia, dell’immaginario. Resistere in modo nonviolento a questa sciocca ferocia, spacciata per “Difesa” delle nostre vite dalle minacce provenienti dalle turpi autocrazie, è necessario in ogni sede.

Le voci del dissenso sono chiamate ad alzarsi e a farsi coro, perché l’età delle emergenze è il laboratorio dove si prepara la fine dell’umanità, soprattutto occidentale, a partire degli ucraini forzati ad arruolarsi per arrivare alle violenze sulle donne ucraine, dai soprusi degli occupanti agli abusi dei mariti di ritorno dal fronte, e infine il macello dei palestinesi, tutte vittime designate dell’economia emergenziale e di guerra.

Grazie quindi a chi da mesi e mesi, ogni giorno, partecipa al presidio in solidarietà con Gaza davanti al duomo di Milano. Una presenza silenziosa ma significativa, che con una determinazione commovente pone domande a tutti noi.