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Alberto Trentini, perché gli Usa possono giocare un ruolo decisivo per la liberazione del cooperante italiano e altri detenuti in Venezuela

Il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha assicurato al ministro Tajani il suo impegno per il rilascio. Washington, al di là dell'escalation, resta uno dei principali partner del Venezuela

Il fattore Usa potrebbe giocare un ruolo decisivo per la liberazione di Alberto Trentini, il cooperante veneto detenuto da 385 giorni nel penitenziario de El Rodeo I – che di recente ha ricevuto la visita dell’ambasciatore Giovanni Umberto De Vito -, e degli altri connazionali reclusi in Venezuela, tra cui il giornalista con doppio passaporto […]

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Il fattore Usa potrebbe giocare un ruolo decisivo per la liberazione di Alberto Trentini, il cooperante veneto detenuto da 385 giorni nel penitenziario de El Rodeo I – che di recente ha ricevuto la visita dell’ambasciatore Giovanni Umberto De Vito -, e degli altri connazionali reclusi in Venezuela, tra cui il giornalista con doppio passaporto Biagio Pilieri. L’opzione prende piede dopo il recente colloquio telefonico nel quale il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha assicurato al titolare della Farnesina, Antonio Tajani, l’impegno di Washington per riportare a casa l’operatore umanitario e gli altri italiani detenuti in Venezuela, insieme ad altri stranieri, usati dalle autorità di Caracas come pedine di scambio con i loro relativi governi. “Lavoriamo senza sosta per la loro liberazione”, ha scritto Tajani su X in un post di ringraziamento a Marco Rubio.

Quale relazione tra Caracas e Washington

Di primo acchito la notizia può lasciare perplessi, considerata l’escalation Usa al Largo del Venezuela, il blocco unilaterale dello spazio aereo e marittimo di Caracas. Washington ha anche innalzato a livello 4, quello più alto, l’allerta viaggio sul Venezuela, esortando i concittadini Usa ad “abbandonare immediatamente il Paese”, denunciando il pericolo di “detenzioni arbitrarie”, “torture” e “trattamenti inumani”. Si registrano anche costanti violazioni dello spazio aereo, con i sorvoli dei B-52, e personalità come lo stesso Rubio negano ogni possibile dialogo con Maduro: “Non ha mai rispettato un accordo. Ha ingannato Biden, ma non potrà ingannare Trump”, ha dichiarato il segretario di Stato. Tuttavia il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha dichiarato mercoledì sera di aver “parlato con il presidente Usa Donald Trump” sottolineando i “toni rispettosi” e “cordiali” di un colloquio che preannuncia “passi in avanti” nel dialogo fra i due Stati. Lo stesso numero due del chavismo Diosdado Cabello è intervenuto cercando di smentire le ricostruzioni di testate come Wall Street Journal e Infobae attorno alla telefonata: “Nessuno di voi c’era. Perciò non potete dire com’è andata”. Neppure Trump si sbilancia più di tanto: per lui non è andata “né bene, né male”, ma è stata “solo una telefonata”. Nel frattempo la petroliera Chevron sostiene Caracas con 200mila barili di greggio giornalieri e vanta una licenza permanente, secondo l’inviato per l’America Latina Mauricio Clavier, e i voli di rimpatrio dei migranti espulsi dagli Usa hanno ripreso il loro corso, dopo l’ultima sospensione. Quella tra Caracas e Washington è senz’altro una relazione tossica e ambivalente, ma a livello diplomatico risulta più efficace della linea di gelo e di non interazione decisa dal governo Meloni su Caracas.

Gli ostaggi recuperati dalla Casa Bianca

In fondo gli Stati Uniti sono l’unico Paese ad aver ottenuto, a più riprese, il rilascio dei suoi concittadini detenuti in Venezuela, facilitando anche la scarcerazione di ottanta prigionieri politici locali a metà luglio, durante la trattativa a tre tra Caracas-Washington-El Salvador. Ma non solo. Nell’ultima settimana la Casa Bianca ha ottenuto il rilascio di 39 prigionieri politici del Nicaragua esercitando pressione – non è ancora chiaro di che tipo – sul governo Ortega-Murillo.

I primi rilasci ottenuti dall’amministrazione Trump si sono verificati a fine gennaio – con Trentini in cella da due mesi e mezzo – e hanno visto il ritorno di sei statunitensi a casa su mediazione dell’inviato speciale Usa Ric Grenell. Erano reclusi a El Rodeo I. Il ritorno dei primi ostaggi è stato salutato positivamente da Trump mentre Maduro parlava di un “nuovo inizio” dopo aver raggiunto “una serie di accordi”, sempre attorno al petrolio. Quasi cinque mesi dopo, il 20 maggio, gli Stati Uniti sono andati a riprendersi il veterano di guerra Joseph St. Clair. “Il suo rilascio era previsto a gennaio, con il primo gruppo, ma quando sono venuti a prenderlo lui ha opposto resistenza, perché non si fidava dei carcerieri”, racconta Zulima Quiñones, attivista per i diritti umani, a Ilfattoquotidiano.it. Ma non era finita. A El Rodeo I c’erano ancora dieci statunitensi: tutti loro rilasciati a metà luglio nell’inedito scambio tra gli Stati Uniti, Venezuela ed El Salvador, che ha visto il rimpatrio dei 252 migranti venezuelani che erano trattenuti al Cecot, il Centro de confinamiento del terrorismo, e anche il rilascio di oltre 80 prigionieri politici del Paese sudamericano. Sia gli Stati Uniti che il Venezuela si sono ritenuti “vittoriosi”, dopo il risultato, nonostante lo scambio di “terroristi per ostaggi”.

Il penitenziario del Distretto federale, gestito dal Controspionaggio militare venezuelano, si rivela dunque un importante crocevia di trattative, scambi e diplomazia degli ostaggi tra la Casa Bianca e Palazzo di Miraflores. Potrebbe essere forse il turno di Trentini, da più di un anno lì dentro, e perché no, di Pilieri e di tutti gli altri.