Cronaca

Per il Censis l’Italia è nella “età selvaggia”: uno su tre preferisce le autocrazie. E per la cultura si spende un terzo rispetto ai device

La spesa culturale crolla del 34,6% mentre quella digitale esplode. Un terzo degli italiani guarda agli autocrati, il 72% non crede più alla politica e alla partecipazione civica

È un’Italia che guarda più al display che al futuro, più all’istinto che alla fiducia in un progetto comune. Nel mezzo di un mondo agitato, il Paese scivola in quella che il nuovo Rapporto Censis 2025 (leggi i dati su povertà, debito, lavoro e sanità) chiama “età selvaggia“, dove la cultura pesa sempre meno e […]

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È un’Italia che guarda più al display che al futuro, più all’istinto che alla fiducia in un progetto comune. Nel mezzo di un mondo agitato, il Paese scivola in quella che il nuovo Rapporto Censis 2025 (leggi i dati su povertà, debito, lavoro e sanità) chiama “età selvaggia“, dove la cultura pesa sempre meno e l’idea stessa di democrazia vacilla.

La spesa per la cultura – Mentre il turismo culturale straniero cresce, la spesa culturale delle famiglie italiane è crollata del 34,6% in vent’anni, fermandosi poco sopra i 12 miliardi. Una cifra che vale solo un terzo di quanto il Paese spende per smartphone, computer e servizi digitali, saliti a quasi 32 miliardi complessivi. A diminuire sono soprattutto giornali e libri. Aumentano invece i consumi legati alle esperienze culturali: cinema, musica, teatro, musei e mostre attirano più pubblico rispetto al passato, pur dentro un quadro di fragilità strutturale.

L’età selvaggia – Per l’istituto di ricerca socio-economica italiano, un terzo degli italiani ritiene che le autocrazie interpretino meglio lo spirito dei tempi. Nel nuovo clima globale, pulsioni profonde, miti identitari, paure e fanatismi sembrano contare più che la ragione economica. L’età “del ferro e del fuoco” perché tutto si rimette in discussione. Il 62% ritiene che l’Unione europea non giochi un ruolo decisivo e il 53% la vede destinata alla marginalità. Il 74% non riconosce più il modello americano e il 55% pensa che il progresso appartenga ormai a Cina e India. E quasi quattro italiani su dieci credono che le dispute globali si risolvano con i conflitti armati.

Partecipazione e politica – Altro segno dei tempi è partecipazione civica, che si assottiglia. I cortei coinvolgono oggi il 3,3% degli italiani, la metà rispetto a vent’anni fa, con rare eccezioni. La sfiducia verso la politica è profonda: per il 72% non si crede più a partiti, leader e Parlamento. Il 63% considera spento ogni sogno collettivo. Un clima di ripiegamento individuale in cui l’immaginario politico si svuota e prevale la sensazione di un orizzonte condiviso ormai irraggiungibile.

Big Tech e influencer – Ma se il mondo digitale avanza, non manca una certa frustrazione per le sue regole. Otto italiani su dieci ritengono che i giganti del web debbano essere colpiti sul piano fiscale, segno di un risentimento crescente verso gli oligarchi digitali. Cambia intanto anche il mondo degli influencer: il 71,2% non ha mai seguito macro-creators. Cresce invece il peso dei micro-influencer, scelti dal 23,2% degli utenti per un rapporto più diretto. La figura del divo digitale appare sbiadita: per il 34,3% la loro influenza è in calo, mentre solo un quarto li considera ancora protagonisti del presente. A seguire meno queste figure sono in particolare i giovani, che pare abbiano iniziato a privilegiare qualità e autenticità.