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Indagini su lavoro e appalti, il pm Storari: “Grazie a noi 50mila assunti”. E avverte: “Anche mafiosi a capo delle cooperative”

Il magistrato milanese risponde alle accuse delle imprese: "Qualcuno dirà che ci inventiamo le norme, ma carta canta". E scherza: "Mi proporrei come navigator"
Indagini su lavoro e appalti, il pm Storari: “Grazie a noi 50mila assunti”. E avverte: “Anche mafiosi a capo delle cooperative”
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“Ad oggi, ma le cifre sono ovviamente in aumento”, le indagini della Procura di Milano “ha portato a cinquantamila internalizzazioni e ha fatto guadagnare seicento milioni di euro. Mi proporrei come navigator moderno”. Il pm milanese Paolo Storari, che negli ultimi anni ha condotto importanti inchieste su caporalato e sfruttamento del lavoro – l’ultima ha coinvolto il colosso dell’alta moda Tod’s – rivendica i risultati ottenuti, di cui, dice, “lo Stato deve essere orgoglioso“. E risponde alle accuse – arrivate soprattutto dalle imprese indagate – di aver esorbitato dal proprio ruolo: “Qualcuno dirà che è “supplenza” o che ci inventiamo le norme, però, come diceva qualcuno più famoso di me, “carta canta“. E la carta in questo caso canta”, affonda, parlando a un evento organizzato da Magistratura democratica al palazzo di giustizia di Milano (“Appalti, sfruttamento lavorativo e retribuzione costituzionale”), insieme ai giudici Bruno Giordano e Giulia Dossi e alla professoressa dell’Università Statale Lisa Dorigatti. Storari racconta di aver osservato, come effetto dell’intervento giudiziario, anche una tendenza degli imprenditori che esternalizzano il lavoro a cooperative a mettersi in regola spontaneamente: “Numerosi professionisti vengono in ufficio dicendo: “Dottore, io ho un’impresa che si chiama “X”, si sta mettendo a posto”, individuando i fornitori “marci”. E questo è un grande risultato, perché è sempre meglio se lo Stato non interviene, questa è la finalità preventiva delle norme”.

Per descrivere il contesto che causa lo sfruttamento dei lavoratori deboli, il magistrato usa un’espressione coniata dal sociologo Luca Ricolfi, la “società signorile di massa“: “Una volta, facendo un esempio molto banale, chi poteva permettersi di farsi portare il pranzo o la cena a casa? Gente con molto denaro a disposizione. Oggi più o meno lo facciamo tutti, a costi estremamente contenuti. Ma se il pranzo che mi viene recapitato a casa ha lo stesso costo di quello al ristorante, qualcuno ci rimette: questa diffusività del benessere qualcuno la paga”. Poi avverte: “La criminalità mafiosa non è estranea a questi fenomeni. Ormai abbiamo evidenze di esponenti della criminalità organizzata che gestiscono cooperative. Non sto parlando ovviamente di appalti di trenta o quaranta milioni, ma per una cosca di ‘ndrangheta avere un appalto di un milione di euro – che per un committente di rilievo è nulla – vuol dire moltissimo. Vuol dire mantenersi latitanti per un certo periodo di tempo, anche lungo. Io non sto naturalmente dicendo che il committente è a conoscenza di questa cosa, sto dicendo che spesso il committente non sa neanche chi ha in casa e spesso succede che si può avere in casa la criminalità organizzata, con tutti i rischi reputazionali del caso”.

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