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La storia della famiglia nel bosco rivela qualcosa di noi e di un’Italia diversa

Questa vicenda, per me, è prima di tutto una questione culturale. Una lente che ci obbliga a guardare un’Italia che non è una sola, ma tante
La storia della famiglia nel bosco rivela qualcosa di noi e di un’Italia diversa
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La storia dei tre bambini e della famiglia del bosco mi ha profondamente colpito.
Forse perché, in qualche modo, mi riporta a certi episodi della mia adolescenza quando bastava vivere “fuori dal coro” per diventare un problema. Forse perché vedere una famiglia unita dividersi all’improvviso tocca corde che non hanno a che fare con la cronaca, ma con ciò che siamo, con ciò che temiamo, con ciò che proteggiamo.

Questa vicenda, per me, è prima di tutto una questione culturale.
Una lente che ci obbliga a guardare un’Italia che non è una sola, ma tante: urbana e rurale, digitale e contadina, moderna e arcaica.

E quando queste Italie si sfiorano senza capirsi, nasce quello spazio di incomprensione in cui tutto diventa più fragile, più confuso, più rumoroso. Non posso ignorare ciò che questa storia rivela di noi: quanto facciamo fatica ad accogliere ciò che non rientra nei modelli dominanti, quanto ci spaventa chi vive seguendo coordinate diverse dalle nostre.

E magari la risposta sta proprio qui: imparare a riconoscere che le differenze non sono minacce, ma domande.
Domande che ci chiedono ascolto, rispetto, e la capacità di non ridurre tutto a bianco o nero.

Dietro ogni vicenda ci sono vite vere, scelte, fragilità e legami che meritano di essere guardati con più umanità e meno fretta.

Ed è questo, alla fine, ciò che sento: che al centro non ci sono etichette, schieramenti o teorie. Ci sono tre bambini. E tutte le domande che il loro vuoto lascia sospese.

Illustrazione di Diego Cusano

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