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“Le Rsa venete sono piccoli ospedali a pagamento”: l’effetto del taglio dei reparti ospedalieri per i ricoveri lunghi

La vicepresidente della Commissione Sanità Anna Maria Bigon (Pd): "Con la chiusura dei reparti ospedalieri più adatti a loro, i malati non autosufficienti si rivolgono alle case di riposo dove salgono età e gravità dei casi e si accorcia la degenza media. Che non è gratuita"
“Le Rsa venete sono piccoli ospedali a pagamento”: l’effetto del taglio dei reparti ospedalieri per i ricoveri lunghi
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Fare uscire gli anziani malati cronici dal Servizio sanitario nazionale? In Veneto non siamo molto lontani a sentire i dati snocciolati dalla consigliera regionale Anna Maria Bigon (Pd), che è anche vicepresidente della Commissione Sanità. Le case di riposo venete, spiega, sono ormai “dei piccoli ospedali”, solo che non sono attrezzate per esserlo e non hanno il personale adatto. E a differenza degli ospedali, le rette sono a carico delle famiglie.

“I posti nelle case di riposo sono sempre più insufficienti: a fronte di una lista d’attesa di 10mila persone, ci sono 32.983 posti letto, l’84% dei quali è parzialmente coperto da un’impegnativa regionale che versa 52 euro al giorno a persona (57 per chi soffre di malattie neurodegenerative)”. Quindi più di 5mila famiglie pagano la retta intera, mentre quasi 28mila ne pagano circa la metà e altri 10.000 sono fuori dalla porta in coda. “Basterebbero 46 milioni di euro per arrivare a coprire il 90% almeno delle impegnative e circa 60-70 milioni per arrivare a totale copertura”, calcola Bigon che è in corsa per le regionali venete che sono alle porte.

Ma il punto che solleva non è tanto, o soltanto, questo. Il punto è che nel 2019 il Veneto ha stabilito di chiudere i reparti ospedalieri di lungodegenza. Avrebbe dovuto rimpiazzarli con 70 ospedali di comunità, ma a oggi non ne ha realizzati più di 35. E nel frattempo i pazienti delle lungodegenze sono passati alle case di riposo, occupando quasi tutti i posti disponibili. “Adesso le schede di valutazione multidisciplinari che vengono fatte per l’accesso alle case di riposo, le svama, hanno punteggi sempre più alti… in pratica per entrare devi essere gravissimo, qualche anno fa si entrava con una valutazione più bassa. Quindi entrano quelli più gravi, ma non è che gli altri che stanno fuori hanno meno urgenza – spiega – Fino al 2019 avevamo i reparti sanitari di lungodegenza dove venivano accolte le persone con tante patologie come accade adesso nelle case di riposo”.

Ovviamente essendo un ospedale, non c’era una retta da pagare. Così come non ci sarebbe stata se fosse andata a buon fine la sostituzione con gli ospedali di comunità. Anche se in questo caso c’è una questione di sostanza: le lungodegenze ospedaliere sono reparti che accolgono malati acuti, gli ospedali di comunità invece sono strutture che nascono sul territorio per i malati di media intensità, sono strutture a metà strada tra l’ospedale per acuti e la casa. E comunque non ne sono stati realizzati abbastanza. “Così le famiglie non hanno più avuto pari servizio e si sono rivolte alle case riposo”, sintetizza Bigon. Possiamo dire che la sanità veneta ha risparmiato sulla spesa per gli anziani malati cronici, spostandoli di fatto e al di là delle intenzioni, dai reparti sanitari di lungodegenza alle case di riposo che invece sono strutture socioassistenziali? “Sì, in buona parte sì. Non sono tutti anziani, parliamo di non autosufficienza, ma la maggior parte è anziana. Non necessariamente perché lo voglio, ma è il provvedimento stesso che di fatto rende necessario l’inserimento del malato in casa di riposo nel momento in cui chiudo i reparti di lungodegenza, che sono un costo completamente a carico del fondo sanitario”. I reparti ospedalieri di lungodegenza sono quelli nei quali vengono ricoverati i malati che hanno bisogno di più tempo di cura, si può arrivare anche a due o tre mesi, una novantina di giorni. I pazienti più ricorrenti sono gli anziani con diverse patologie, gli stessi che nelle case di riposo del Veneto hanno una degenza media di 217 giorni.

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