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Ex Ilva, la protesta degli operai a Genova: strade bloccate coi mezzi da lavoro. A Novi si riversano in tangenziale

Deciso il presidio ad oltranza alla stazione ferroviaria di Cornigliano. I sindacati: "Il piano del governo porta alla chiusura della fabbrica, mille posti a rischio. È la fine della siderurgia in Italia"
Ex Ilva, la protesta degli operai a Genova: strade bloccate coi mezzi da lavoro. A Novi si riversano in tangenziale
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Il rischio che non esista un futuro per l’Ilva, nemmeno nel breve termine, fa riesplodere la protesta. Le domande dei sindacati rimaste senza risposta da parte del governo hanno agitato le fabbriche, a iniziare da quelle del nord dove l’emergenza è immediata. Il piano dei commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, avallato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, comporta infatti un sostanziale fermo degli stabilimenti di Genova e Novi Ligure, dove non arriveranno più prodotti grezzi da Taranto che qui vengono verticalizzati. Per questo, i lavoratori reputano che si vada verso una sostanziale chiusura. E hanno reagito. Immediatamente. Lo sciopero proclamato da Fiom, Fim e Uilm subito dopo la rottura al tavolo con l’esecutivo ha portato all’occupazione della fabbrica di Cornigliano, alle porte di Genova, con i metalmeccanici che si sono anche riversati nelle strade con i mezzi di lavoro, e all’invasione della tangenziale nel paese al confine tra Piemonte e Liguria.

La protesta “a oltranza” e le strade chiuse

I lavoratori genovesi si sono mossi in corteo verso la stazione ferroviaria di Genova Cornigliano, dove si terrà un presidio ad oltranza. Dopo l’assemblea davanti ai cancelli della fabbrica, gli operai si sono diretti verso le vie del quartiere e hanno montato un gazebo. Lì resteranno a oltranza, hanno annunciato. Via Cornigliano e piazza Savio sono totalmente chiuse al traffico, mentre la strada Guido Rossa è chiusa in direzione ponente. L’assemblea dei lavoratori in sciopero è durata pochi minuti: è stata scelta la strada della mobilitazione per protestare “contro il blocco degli impianti del nord e il piano che prevede l’aumento della cassa integrazione straordinaria fino a 6mila unità”. I sindacati denunciano: “Sono mille i posti di lavoro a rischio a Genova”.

“A Genova in 1.000 resteranno senza lavoro”

Armando Palombo, storico delegato Fiom Cgil della ex Ilva di Cornigliano, e Stefano Bonazzi, segretario generale Fiom Cgil Genova, attaccano: “Il piano del governo porta alla chiusura della fabbrica con la conseguenza che a Genova abbiamo mille posti di lavoro a rischio, mille famiglie che rischiano di perdere il loro sostentamento e la fine della siderurgia nella nostra città e nel paese”. In una nota il sindacato sottolinea la “pesante situazione che investe la siderurgia italiana e il sito industriale di Cornigliano”. “Dal primo gennaio – proseguono Palombo e Bonazzi – saranno in 6mila a livello nazionale a trovarsi in cassa integrazione e dal primo di marzo chiuderanno tutti gli impianti. Chiediamo alle istituzioni locali di non stare in silenzio e di adoperarsi per contrastare la decisione del Governo e impedire la chiusura di Cornigliano”.

La lotta contro il piano del governo

La protesta scattata questa mattina è la prima azione dopo la rottura del tavolo nazionale di ieri e lo stop alle trattative. Il secondo incontro a Palazzo Chigi tra governo, commissari e sindacati si è chiuso martedì sera con la decisione di andare allo sciopero, unitario, da parte di Fim, Fiom e Uilm. Le posizioni sono opposte. Le sigle dei metalmeccanici accusano il governo di aver messo sul tavolo un piano di dismissione del siderurgico, con il ricorso massiccio alla cassa integrazione e di non dare alcuna certezza su cosa accadrà da marzo 2026 prospettando una sostanziale chiusura degli impianti. Il governo ribatte sostenendo, invece, di aver accolto “la principale richiesta” dei sindacati e che “non ci sarà un’estensione ulteriore” della cassa integrazione, ma “in alternativa saranno individuati adeguati percorsi di formazione, anche per coloro già in cig”. Già al precedente tavolo era emerso che altre 1.550 persone si sarebbero aggiunte alle 4.450 già attualmente in cassa, portando da gennaio il totale a 6mila per due mesi. Per i sindacati il percorso di formazione non basta, anzi.

I sindacati: “L’Ilva va verso la chiusura”

I metalmeccanici parlano espressamente del rischio della chiusura e che dal primo marzo “non ci saranno più 6.000 lavoratori in cassa integrazione, ma ci sarà la totalità dei lavoratori”, afferma il numero uno Rocco Palombella, parlando di “disastro” e richiamando governo e istituzioni alla responsabilità. Il piano sull’ex Ilva “di fatto va a ridimensionare le attività, è per la chiusura. Questo per noi è inaccettabile“, dice il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano. “Abbiamo chiesto alla presidenza del Consiglio di ritirare il piano e di fare intervenire direttamente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ci hanno risposto di no e noi abbiamo deciso ovviamente di dichiarare sciopero”, rimarca il segretario generale della Fiom-Cgil, Michele De Palma. Stop che raccogli subito “il pieno sostegno” dal leader della Cgil, Maurizio Landini: “Il governo deve ritirare il piano proposto e la presidente del Consiglio deve intervenire direttamente”.

L’intervento della sindaca Salis

“Sono estremamente preoccupata per lo stallo totale che si sta verificando sulla vertenza ex Ilva, con un migliaio di lavoratori e di famiglie genovesi che rischiano seriamente di perdere salario e impiego e una città e un Paese che rischiano di perdere uno dei principali asset di sviluppo economico e industriale”, dichiara la sindaca di Genova, Silvia Salis. Che poi denuncia: “Il governo ha fallito troppe volte nella ricerca di una soluzione efficace per il futuro dell’azienda, dei lavoratori e dell’industria di questa città e di questo Paese. Il momento delle risposte è già arrivato da tempo e non è più procrastinabile. I lavoratori avevano giustamente chiesto a questa amministrazione una posizione decisa che salvaguardasse il loro impiego, lo stabilimento e uno sviluppo industriale sostenibile”.

Salis quindi rimarca il suo impegno per l’attivazione di un forno elettrico a Genova dopo lo spegnimento dell’altoforno: “Ma gli annunci del Governo sono stati ancora una volta disattesi: ora è il tempo delle risposte”. La sindaca di Genova conclude ribadendo “totale vicinanza ai lavoratori e di Genova e di tutti gli stabilimenti. Siamo pronti a richiamare nuovamente il governo alle sue responsabilità in tutte le sedi istituzionali e politiche. Infine, da sindaca non posso non appellarmi ai lavoratori affinché le comprensibili azioni di protesta restino nell’alveo del rispetto del resto della cittadinanza”.

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