Ilva, il governo conferma: 6mila in cassa integrazione. E Urso rispolvera il quarto operatore interessato. Sindacati: “Sciopero immediato”
La conferma di tre offerte, una delle quali “coperta” e ancora senza un nome. Poi addirittura un quarto player che chiede informazioni e “l’interesse di operatori nazionali” che rispunta. Eppure, nessun passo indietro sulla necessità di ricorrere a nuove, massicce, dosi di cassa integrazione. Necessaria, sostiene l’azienda, per fermate degli impianti motivate da manutenzioni e sicurezza. Niente di strutturale, insistono governo e Acciaierie d’Italia, ma solo la necessità di lasciare a casa altre 1.550 persone per la fermata di tre cockerie e, quindi, delle lavorazioni a freddo sia a Taranto che negli impianti del nord. La risposta dei sindacati? Rottura totale e sciopero immediato. “Abbiamo rotto, abbiamo dichiarato 24 ore di sciopero a partire da domani, con assemblee. Perché i nostri dubbi sono diventate certezze. È un disastro”. Parola del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, secondo cui “il piano porta alla chiusura dell’ex Ilva. È mancato il senso di responsabilità delle istituzioni e del governo”.
Il “piano” del governo del resto per l’ex Ilva è confermato nella sua drammaticità. Da gennaio si arriverà a 6mila persone in cassa integrazione. L’unica novità? Potranno accedere alla formazione, 60 giorni per “nuove competenze”. Un pannicello caldo che non sposta di un millimetro le preoccupazioni dei sindacati, infuriati dopo la presentazione della strategia voluta da Acciaierie d’Italia, gestore dello stabilimento e in amministrazione straordinaria, e l’esecutivo, in primis il ministro delle Imprese Adolfo Urso. Dalla Fiom alla Uilm, passando per Fim e Usb la richiesta è unanime: ritirare quanto presentato, ideare un vero piano industriale e prevedere un intervento pubblico, almeno di garanzia.
Mentre la procura di Taranto scopre le carte sul mancato dissequestro dell’Afo1, interessato da un incendio a maggio che sarebbe stato causato dal mancato funzionamento di un impianto di sicurezza, continua l’agonia dell’ex Ilva, alle prese con una gara di vendita ferma al palo e una produzione ridotta al lumicino, mentre le finanze dell’azienda sono in profondo rosso. Il governo aveva riconvocato i sindacati dopo la rottura del tavolo registrata la scorsa settimana, ma non c’è alcuna reale novità.
Urso ha spiegato che sono in corso le trattative con chi ha manifestato interesse all’acquisizione: i fondi Bedrock, prossimo incontro giovedì, Falcks e due gruppi – entrambi extra Ue – con i quali si è in una primissima fase di negoziazione. Tantissimo fumo, zero di concreto. Così il ministro lascia ancora le porte aperte anche al fantomatico “interesse italiano”, che finora tuttavia non ha mai proposto una vera e propria offerta industriale. Urso ha inoltre spiegato che nel bando di gara sono stati inseriti “elementi vincolanti” su una decarbonizzazione accelerata e la nave rigassificatrice come fattore abilitante. È notte fonda.