Se all’educazione sessuo-affettiva ci pensa l’algoritmo
Esistono due elementi che vengono completamente ignorati nel dibattito quotidiano sull’educazione sessuo-affettiva nelle scuole e che invece, nella loro assoluta concretezza, molto poco ideologica e molto poco astratta, sono i punti centrali: sono il tempo e la disparità di trattamento.
Perché il tempo? Perché mentre rimandiamo per non turbare i bambini, per non rubare loro l’innocenza, per non indirizzarli, esiste qualcun altro che contemporaneamente lo fa in vece nostra e in assenza totale di controllo.
Da una parte diciamo alle scuole: attenzione, serve un’autorizzazione per parlare di corpo, desiderio, emozioni, relazioni, consenso, pornografia, violenza di genere. Dall’altra parte, però, i ragazzi vivono tutto questo da soli, online, senza adulti, senza filtri, senza una guida. E quando né la scuola né la famiglia riescono a dare risposte, chi riempie quel vuoto?
La tecnologia. L’intelligenza artificiale.
Non è un’ipotesi: lo dice Save the Children nei suoi ultimi rapporti. Sempre più adolescenti chiedono aiuto a chatbot e assistenti digitali per parlare di ansia, vergogna, sexting, identità, relazioni tossiche, perfino autolesionismo. Perché? Perché lì qualcuno li ascolta, non giudica, risponde sempre. Perché a scuola spesso non se ne parla. E in famiglia molti non hanno gli strumenti, il linguaggio, il coraggio.
E qui subentra il secondo elemento. La disparità di trattamento. Se attraverso la richiesta del consenso informato da parte delle famiglie, alle quali si lascia l’ultima parola sull’educazione affettiva dei figli, e alla premessa costante che non può essere la scuola ad intromettersi ma che spetta ai genitori decidere come e cosa debba sapere in materia affettiva e sessuale un bambino o un ragazzino, si sta automaticamente stabilendo che tutti coloro che non hanno una famiglia in grado di occuparsene, di fornire strumenti adeguati, di comprendere le difficoltà e i cambianti enormi che l’epoca digitale sta portando con sé, verranno lasciati a loro stessi.
E un futuro che abbia una cultura affettiva e sessuale più consapevole ed evoluta non passa dai singoli e dalla fortuna individuale, ma da un progetto collettivo che coinvolga l’intera società.
E allora la domanda è: davvero pensiamo che, vietando o complicando l’educazione affettiva a scuola, stiamo proteggendo i nostri figli? O li stiamo lasciando soli davanti all’unica “voce adulta” che trovano disponibile 24 ore su 24: un algoritmo?
In tutta Europa l’educazione sessuale fa parte del curriculum scolastico, è obbligatoria, non serve nessun permesso. L’Italia invece si nasconde dietro al fattore famiglia, affidando di fatto al caso le opportunità di ogni ragazzo, e al fattore tempo, discutendo se sia “troppo presto”, mentre i ragazzi hanno già visto tutto, già vissuto tutto, già chiesto tutto… ma non a noi.
Se non sono gli adulti a parlare di corpo, confini, affettività, lo farà qualcun altro. E quel qualcun altro, sempre più spesso, è l’intelligenza artificiale.
Il problema non è proteggere i ragazzi dalle parole. È proteggerli dal silenzio.