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Alberto Trentini in carcere da un anno in Venezuela senza accuse. I depistaggi dei faccendieri e la lentezza di Palazzo Chigi

Il cooperante di Venezia si trova da 365 nel carcere El Rodeo I, ostaggio del governo Maduro. La società civile, le trattative per riportarlo a casa: cosa è successo in questi mesi
Alberto Trentini in carcere da un anno in Venezuela senza accuse. I depistaggi dei faccendieri e la lentezza di Palazzo Chigi
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Un anno dietro le sbarre in Venezuela, senza nessuna accusa formale. Con pochissimi contatti con la famiglia e con le rappresentanze diplomatiche italiane. Da un anno Alberto Trentini, cooperante italiano di Venezia, è ostaggio del governo di Caracas e ora detenuto nel carcere El Rodeo I di Caracas. Era stato arrestato il 15 novembre 2024 nella località di Guasdualito, mentre lavorava per l’ong Humanity & Inclusion. In Italia sono state tante le iniziative della società civile per ricordare la sua detenzione e riportarlo a casa, mentre si susseguivano attese disilluse, negoziati in stallo e un interesse tardivo del governo italiano per intercedere a favore della sua liberazione.

Palazzo Chigi per mesi ha temporeggiato, ignorando l’urgenza della situazione e i ripetuti appelli della madre di Alberto, Armanda Colusso, finché ha capito che l’immobilismo avrebbe soltanto allungato la prigionia e comportato rischi per la salute dell’operatore umanitario e dei familiari, che lo aspettano. Lo Stato ha reagito – certo in ritardo, talvolta disorientato – ma ha predisposto le condizioni affinché Trentini venisse rilasciato, ricevendo un paio di volte i diplomatici di Caracas. Loro hanno sfilato spavaldi durante la cerimonia di canonizzazione dei santi venezuelani, José Gregorio Hernández e Carmen Rendiles, nonostante le sanzioni Ue e il mancato riconoscimento italiano al governo di Nicolás Maduro.

Anche i vescovi di Caracas erano intervenuti per chiedere misure di grazia per “coloro che permangono detenuti per ragioni politiche” – inclusi altri connazionali reclusi nel Paese sudamericano, come Biagio Pilieri – e le autorità venezuelane aprivano non solo al rilascio di Trentini, ma anche di una decina di detenuti. Era il 19 ottobre: ore liete, aperture, strette di mano, selfie e ponti riallacciati. Caracas prometteva addirittura l’imminente scarcerazione del cooperante, prima di raggiungere i 365 giorni di prigionia. Tuttavia, a ridosso di un intero anno di carcere, senza accuse, a circa 9mila chilometri da casa, Alberto è ancora a El Rodeo I e lo Stato italiano non è riuscito a farlo tornare. Le trattative sono una tela di Penelope, sempre incompiuta, perché strappata più volte, anche con premeditazione. Complice l’intervento di negoziatori già noti ai circuiti italiani, che sono subentrati nel vuoto lasciato dal governo italiano – quando non voleva neppure telefonare a Caracas – per accreditarsi come interlocutori dei presunti interessi di Maduro nella Penisola, senza però riuscire a riportare a casa Alberto.

Altri faccendieri si sono insinuati anche dall’altra parte, in Venezuela, assicurando di rappresentare gli interessi legali di Trentini, senza il consenso dei suoi familiari. Hanno pure presentato, per conto loro, un ricorso alla Commissione interamericana dei Diritti umani – organo osteggiato da Palazzo di Miraflores – con l’obiettivo di alzare la posta in gioco. Ilfatto.it è entrato in contatto con questi gruppi, vicini agli ambienti dell’intelligence venezuelana, che gestisce El Rodeo I. “Non siamo un’organizzazione, ma amici di Alberto”, dicevano a Ilfatto.it, per poi millantare accesso privilegiato alla struttura penitenziaria e ai detenuti – come Nahuel Gallo e Joseph St. Clair, rilasciato da mesi – ma anche risorse legali per intraprendere “altre azioni”. Ci è voluta una diffida, da parte della famiglia Trentini e dell’avvocata Ballerini, per fermarli.

Non sono poi mancate informazioni pilotate attraverso alcuni organi di stampa che si sono prestati per parlare di una presunta “vendetta” da parte di Maduro, presentando una miriade di casi sconnessi dalla vicenda come l’esilio dell’ex-magnate di Pdvsa Rafael Ramírez, ora rifugiato in Italia. Altri puntano al depistaggio paragonando il cooperante al resto dei prigionieri venezuelani, ovvero “un caso in più tra tanti esempi di repressione in Venezuela”, o attribuendo ai venti guerra nei Caraibi la ragione dello stallo diplomatico. Eppure lo sanno che Alberto non è dietro le sbarre per le sue idee politiche ma è un ostaggio, che nulla c’entra con la crisi politica venezuelana, e che Bruxelles, al vertice Ue-Celac di Santa Marta, si è smarcata dalle operazioni militari Usa nei Caraibi esortando al “rispetto del Diritto internazionale”.

L’Ue ha quindi accolto l’istanza di Maduro, che in una lettera rivolta ai partecipanti al vertice di Santa Marta, datata 9 novembre, ha evocato il “rifiuto assoluto di ogni violenza” e la “difesa incondizionata della sovranità“. Non sono quindi mancate concessioni italiane ed europee a Caracas, anche grazie allo sforzo dell’inviato speciale per gli italiani in Venezuela, Luigi Maria Vignali. Il problema riguarda semmai la mancata capacità, da parte di Roma, di governare l’intricata vicenda e salvare Alberto. Non risultano neppure richieste di aiuto all’alleato della Casa Bianca, Donald Trump, che – malgrado le tensioni – continua a ricevere petrolio venezuelano e a rispedire, in voli di Stato, migranti espulsi a Caracas.

Nel frattempo mobilitazione della società civile è intatta: il digiuno a staffetta è piedi da 253 giorni, la raccolta firme su Change.org ha superato le 110mila adesioni e a un anno dalla detenzione è prevista una conferenza stampa a Palazzo Marino (Milano) con gli interventi di Colusso, Ballerini e altre voci. Anche Diane Foley, madre del giornalista James Foley, ucciso a Raqqa, in Siria, nel 2014, ha aderito all’appello per Trentini esortando il governo italiano a “compiere ogni sforzo possibile per riportarlo a casa”.

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