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Inclusione, cresce il numero di insegnanti favorevoli alle classi speciali: “Si è erosa la fiducia nel sistema”

Il sondaggio della casa editrice Erikson segna +10% rispetto al 2023. Il cofondatore Ianes: "Quando si affrontano casi con gravi deficit cognitivi sono in molti a chiedersi se l’inclusione sia davvero la soluzione migliore"
Inclusione, cresce il numero di insegnanti favorevoli alle classi speciali: “Si è erosa la fiducia nel sistema”
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Il modello dell’inclusione degli studenti con disabilità, in Italia, è messo in discussione. A porre molti interrogativi sulla questione sono gli stessi insegnanti interpellati dalla casa editrice “Erikson” che dal 14 al 16 novembre al Palacongressi di Rimini terrà il convegno internazionale su “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”. Il dato che sconvolge, emerso dall’indagine effettuata da Dario Ianes, Sofia Cramerotti, Marco Rospocher, Marco Bombieri, Benedetta Zagni attorno al tema “Le voci dell’inclusione” è che più di un insegnante su quattro è a favore di classi e scuole speciali: +10,1 punti percentuali rispetto al 2023 su un cambio di 833 intervistati. Un dato definito “allarmante” dalla stessa casa editrice.

Ma non sono solo questi numeri a destare attenzione. Dalla ricerca emerge che le competenze professionali in materia di inclusione, come la conoscenza e l’uso di metodologie didattiche inclusive, non sono considerate fattori decisivi per una buona inclusione. In fondo, bastano – dicono i docenti – delle buone relazioni tra colleghi per risolvere i problemi legati all’inclusione.

Non solo. Dall’analisi del sentiment, elaborata attraverso l’intelligenza artificiale e una scala di colori, emerge che le sensazioni negative sono nei confronti dei servizi socio-sanitari.

A leggere con noi questa fotografia è Dario Ianes, professore di pedagogia e didattica speciale alla Libera Università di Bolzano, psicologo dell’educazione, è co-fondatore del Centro studi Erickson: “Cosa è successo in questi due anni per avere un dato così differente sulle classi speciali? Si è erosa la fiducia nel valore dell’inclusione. Dietro quel 27% si apre un sistema a tre vie: se un alunno ha una disabilità grave si pensa a una scuola speciale; se la difficoltà è media si opta per una classe speciale in una scuola “normale”; se parliamo di una disabilità lieve i docenti preferiscono la soluzione inclusiva in aula. Quando si affrontano casi con gravi deficit cognitivi sono in molti a chiedersi se l’inclusione sia davvero la soluzione migliore. Qualcuno pensa persino che ideologicamente si stia violando il diritto ad avere una risposta efficace. E’ un tema che molti genitori sollevano”. D’altro canto lo stesso Ianes ammette che spesso ha raccolto confidenze di dirigenti che gli raccontano di docenti precari di sostegno con nessun o poche competenze in merito.

In Italia, sono state abolite le classi differenziali negli anni Settanta ma non le scuole speciali, presenti in numerose paritarie cattoliche. Per Ianes, vista la situazione, quest’ultima sarà la tendenza in futuro. Con il professore è interessante osservare anche altre domande del report: “In merito agli ostacoli che impediscono di rendere efficace l’inclusione il dato più rilevante è quello dei rapporti con i colleghi, la mancata collaborazione è una barriera significativa. Per assurdo, la gravità dell’alunno non è uno scoglio se esiste un sistema relazionale che funziona tra docenti”. Una situazione, quest’ultima, che non sempre è scontata chiaramente.

La ricerca – attraverso l’analisi del sentiment – ha fatto affiorare anche la parte emotiva di maestri e professori che mettono all’ultimo posto (tra le sensazioni positive) il rapporto con il dirigente scolastico e pongono in cima alla classifica la difficoltà di collaborazione con i servizi socio-sanitari. Infine, solo il 41% di scuole ha a disposizione ausili tecnologici che permettono la partecipazione attiva degli alunni con disabilità.

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