
Sociologa e demografa, studiava gli effetti della maternità sul lavoro. La mamma Milani: "Fin da piccola ha sempre voluto lavorare, anche per essere libera dai genitori". I colleghi: "Sperava che la sua ricerca potesse stimolare il dibattito". Dal 2016 oltre cento le borse in suo nome
Dieci anni fa la ricercatrice italiana Valeria Solesin è morta negli attentati di Parigi. Dieci anni dopo, la sua eredità accademica è viva grazie agli studenti e alle studentesse che ne portano avanti il testimone. Sociologa e demografa di formazione, Solesin stava finendo il dottorato alla Sorbona con una tesi sugli effetti della maternità sulle politiche di occupazione. Sognava un giorno di tornare in Italia, vicino “al suo mare”, ma nel frattempo si impegnava per studiare i limiti del Paese e innescare un cambiamento. “Penso che sia diventata un riferimento generazionale”, racconta a ilfattoquotidiano.it la mamma Luciana Milani. “Come lei sono tanti i ragazzi italiani che studiano qui e poi vanno all’estero dove si fanno una posizione. Come Valeria, tutti guardano l’Italia con il rammarico di chi sa che bene o male sarà piuttosto difficile tornare. Le università di tutta Europa e non solo sono piene di italiani, mentre qui le università sono sempre più sguarnite e i professori sempre più precari. Ci priviamo di tante intelligenze che potrebbero aiutare la ricerca, sia in campo scientifico che delle scienze sociali”. Dal 2016, grazie al Forum della Meritocrazia e all’ideatrice Paola Corna Pellegrini, sono stati oltre 100 le studentesse e gli studenti che hanno potuto accedere alla borsa di studio in suo nome. In totale, sono stati distribuiti quasi 230mila euro per premiare tesi di laurea sul talento femminile come motore economico e di sviluppo per il Paese. La prossima premiazione sarà il 27 novembre.
Ricordare una ricercatrice promuovendo e sostenendo la ricerca sui temi che più le stavano cari, perché il suo lavoro non vada perso. Questo è l’obiettivo. “Quello che studiava”, continua Milani, “era un tutt’uno con la sua vita. Era interessata alla maternità, alla conciliazione con la carriera. Credeva che le donne dovessero fondare la propria indipendenza sul lavoro. Lei, ad esempio, ha sempre voluto lavorare: ha iniziato a 15-16 anni d’estate, perché così poteva anche essere libera dai genitori. Ha fatto la panettiera, poi in Francia ha lavorato in una catena di supermercati e come ragazza alla pari”. Il lavoro per Solesin era la chiave per l’emancipazione. Nel 2012 scrive “Allez les filles, au travail” (ovvero “Forza ragazze, al lavoro”) e lo invia alla rivista Neodemos, che lo pubblica seppure non conoscendola: “Ci piacque, come ci piacque il titolo esortativo”, spiegarono poi. Solesin scriveva, partendo da dati e statistiche di comparazione tra Italia e Francia che “non si possono ignorare le conseguenze dell’arrivo dei figli sull’attività professionale delle donne”. Per questo aveva scelto di intitolare l’analisi con un appello che ancora oggi risuona quanto mai attuale: “Allez les filles au travail”. E leggendo quello scritto Corna Pellegrini dice di essersi convinta che serviva fare qualcosa nel nome di Solesin: “Mi ha colpito molto la sua vicenda, anche perché ho una figlia solo di un anno più grande. Mi ha subito fatto pensare a tutti i nostri giovani che sono andati all’estero per realizzarsi. E poi, dopo aver letto il suo articolo sul lavoro e le donne, mi sono detta: questa eredità non può andare persa”. Così è nata l’idea delle borse di studio, rivolte sia a uomini che donne, “perché non è solo un problema femminile”. Nel 2020 Corna Pellegrini ha pubblicato il libro “Forza ragazze, al lavoro” (Guerini e associati) per parlare dell’esperienza del premio e delle tesi dei primi vincitori. L’obiettivo, “è dare una boccata di ossigeno a questi ragazzi e ragazze”. E fare sì che continuino a occuparsi del tema.
Perché aprire un dibattito, cercare soluzioni al problema, era quello a cui puntava Valeria Solesin. Il suo progetto di tesi di dottorato si intitolava: “Uno o due figli? Un’analisi delle determinanti della fecondità in Francia e in Italia”. “Francia e Italia, pur essendo simili sotto diversi aspetti (geografici, culturali e, in parte, anche demografici)”, hanno raccontato i colleghi Arnaud Régnier-Loilier, Laurent Toulemon e Lidia Panico che nel 2017 hanno anche pubblicato un’analisi dei suoi lavori, “presentano differenze significative in termini di fecondità e di occupazione femminile, entrambe più elevate in Francia. Valeria Solesin concentrava il suo interesse sulla transizione dal primo al secondo figlio, esaminando le intenzioni e le decisioni in materia di fecondità delle coppie che hanno già un figlio”. Perché anche se la maggior parte delle coppie di entrambi i Paesi diceva di volerne due, in Italia succedeva meno spesso. “Valeria ha lasciato un’impronta indelebile in tutti i colleghi che l’hanno conosciuta, grazie alla sua determinazione nel lavoro e al suo dinamismo nella vita quotidiana”, hanno continuato i ricercatori. “Amava profondamente entrambi i suoi Paesi, pur mantenendo uno sguardo critico nei loro confronti. Si rammaricava per la situazione del diritto della famiglia e delle politiche familiari in Italia, e sperava che la sua ricerca potesse contribuire a stimolare il dibattito su questi temi”. Purtroppo, non avremo mai i lavori che non aveva concluso e quelli che avrebbe fatto nella sua lunga carriera. “Valeria era anche perfezionista nella sua ricerca”, chiudono Régnier-Loilier, Toulemon e Panico, “tanto da non voler condividere i propri scritti finché non ne fosse pienamente soddisfatta, nemmeno con i suoi relatori di tesi. Per questo, ci ha lasciato pochi testi a disposizione: un’eredità accademica lucida, ma tragicamente incompleta”. A quel vuoto, cercheranno di sopperire gli studenti e le studentesse che studieranno nel nome di Valeria Solesin. “Allez les filles, au travail”.