
È il principio affermato dalla Cassazione che ha respinto il ricorso di un dipendente licenziato per essersi appropriato e aver diffuso in modo illecito informazioni riservate dell’azienda
I dipendenti infedeli possono essere “spiati” e licenziati, se sono stati precedentemente informati di controlli in caso di anomalie. È il principio affermato dalla Cassazione che ha respinto il ricorso di un dipendente licenziato per essersi appropriato e aver diffuso in modo illecito informazioni riservate dell’azienda come riporta Il Messaggero. Se l’impresa ha un fondato sospetto che un lavoratore dipendente stia compiendo azioni tali da compromettere il rapporto di fiducia o arrecare danni alla società, può – previa informativa – procedere al controllo del computer aziendale in uso al lavoratore. Qualora da tale verifica emergano comportamenti illeciti, il datore di lavoro può arrivare a interrompere il rapporto di lavoro
All’uomo sono stati contestati, nell’arco di otto mesi, oltre 54mila accessi abusivi al sistema informatico aziendale, estraendo più di 10 milioni di record contenenti dati personali, informazioni di lavoro e documenti contabili. Tra le contestazioni anche l’invio di “125 email a 10 indirizzi esterni alla società, contenenti 133 fatture di clienti, con conseguente violazione dei dati personali della clientela”.
Inutili sono risultati i tentativi del lavoratore di sostenere di non aver mai ricevuto un’”adeguata informativa sulla possibilità per la datrice di lavoro di controllare gli asset aziendali”, così come irrilevante è stata la tesi dei “controlli illegittimi”. I giudici di secondo grado, con una sentenza poi confermata dalla Cassazione, hanno infatti ritenuto “utilizzabili gli elementi di prova acquisiti dalla società sul computer in uso al dipendente”. Pur essendo stati raccolti dati precedenti al primo alert del sistema informatico che aveva generato il sospetto di operazioni anomale, l’attività della società è stata considerata conforme all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, poiché era stata fornita al dipendente un’adeguata informativa attraverso la diffusione della policy aziendale sull’utilizzo delle dotazioni informatiche.
Tale documento informava i dipendenti “della possibilità di effettuare, in caso di rilevate anomalie, verifiche e controlli nel rispetto delle previsioni di legge, riservandosi, in caso di comportamenti non conformi alle disposizioni aziendali, di applicare le sanzioni disciplinari previste”. Confermando la decisione di secondo grado, la Cassazione ha ribadito che la datrice di lavoro aveva rispettato tutte le disposizioni di legge, avendo informato in modo chiaro i dipendenti sulle regole d’uso del computer aziendale, di internet e della posta elettronica, nonché sulle attività vietate, rendendoli consapevoli della possibilità di controlli sui dispositivi aziendali.
La fuoriuscita dei dati sensibili a soggetti estranei, secondo gli ermellini ha “esposto la società al rischio di sanzioni da parte del Garante della privacy”. Inoltre, durante l’orario di lavoro, il dipendente “si è dedicato ad attività estranee ai propri compiti, dimostrando disinteresse per le mansioni assegnate e violando i doveri di fedeltà e diligenza”. La conclusione per i giudici è stata che il comportamento del lavoratori aveva evidenziato “una consapevole, intenzionale e persistente violazione delle regole aziendali”, determinando la perdita definitiva del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente e rendendo inevitabile il licenziamento.