Cento cronisti contro la traccia sui ‘maranza’ all’esame professionale: esposto all’Ordine per “linguaggio razzista”
di Massimo Arcangeli
Torno ancora sulle inaccettabili tracce sottoposte alla prova scritta della sessione autunnale dell’esame di Stato per l’accesso alla professione giornalistica che si è svolta il 28 ottobre alla Fiera di Roma, per la prima volta in modalità esclusivamente telematica. A sostenere la prova 256 candidati, che fra le tracce della sezione Attualità si sono visti proporre la seguente, la prima delle cinque da me denunciate in due diversi interventi: “Migliaia di persone a manifestare nelle piazze di mezza Italia, per il lavoro e per la Palestina, con grande ordine. Poi, immancabilmente, le violenze indiscriminate quanto inaccettabili, scatenate da anarchici, antagonisti, collettivi studenteschi. E dai ‘maranza’, un termine dello slang milanese, ora usato a livello nazionale, per definire un certo tipo di giovani, quasi sempre figli di immigrati di seconda generazione, molto spesso di origine africana. Cosa sta succedendo in Italia? Dal mondo politico e sociale quali proposte stanno emergendo per fronteggiare un fenomeno così preoccupante?”.
Su questa incredibile traccia, che non abbisogna di commenti, è ora partita una raccolta firme per un esposto, da presentare all’Ordine Dei Giornalisti, firmato, al momento in cui scrivo, da 96 persone tra giornalisti e pubblicisti. La generalizzazione sui maranza, il passaggio incriminato, viene giudicata dai firmatari “profondamente inopportuna, discriminatoria e contraria ai principi deontologici del giornalismo, in quanto: 1. Veicola e legittima un pregiudizio razziale, associando in modo diretto e arbitrario la violenza e il disordine pubblico a giovani ‘figli di immigrati’ e ‘molto spesso di origine africana’; 2. Rende l’origine etnica un fattore esplicativo del comportamento deviante, una logica che contrasta con la Carta di Roma, con la Carta dei Doveri del Giornalista e con i principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione; 3. Normalizza uno stereotipo linguistico (‘maranza’) che nei fatti è diventato una categoria stigmatizzante, usata per etichettare e marginalizzare adolescenti delle periferie, in particolare con background migratorio”.
Il documento richiama quindi l’attenzione sul Codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine l’11 dicembre 2024, ed entrato in vigore il primo giugno scorso. A essere interessati sono l’art. 4 (Decoro e dignità professionale), l’art. 8 (Diritti fondamentali) e l’art. 14 (Persone migranti e rifugiate) del Codice, con riferimento ai quali i 96 firmatari dichiarano rispettivamente: “l’uso di un linguaggio stigmatizzante (‘maranza’), la stigmatizzazione di giovani con background migratorio e la costruzione di un nesso generalizzato tra origine etnica / status migratorio e comportamento deviante è lesiva della dignità della persona, e compromette il decoro della professione e la dignità delle persone”; “la traccia contravviene al rispetto dei diritti fondamentali, tra cui quello alla non discriminazione”; “il riferimento all’‘origine africana’ come elemento descrittivo di una categoria comportamentale viola direttamente il principio che il giornalista ‘a) usi termini rispettosi e appropriati ed eviti la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte; b) non ricorra ad espressioni denigratorie o discriminatorie'”.
“Il riferimento al contesto migratorio/etnico nella traccia – concludono gli estensori dell’esposto, prima di chiedere di accertare ogni responsabilità in merito e di rettificare in forma ufficiale la traccia – contravviene poi ai principi della Carta di Roma, che esige un trattamento informativo rispettoso di migranti, richiedenti asilo, evitando stereotipi e associazioni indebite tra origine e devianza. Che un simile linguaggio sia stato non solo ammesso, ma inserito come base di una prova d’esame per futuri professionisti dell’informazione, è inaccettabile e gravemente lesivo della credibilità dell’Ordine stesso, oltre che dei valori di una professione fondata sul rispetto della persona, sull’accuratezza e sulla responsabilità sociale della parola”.