La Turchia vuole i suoi soldati a Gaza, l’Egitto no: la divisione dei Paesi islamici sul futuro della Striscia
Rimane centrale la Turchia per l’implementazione del piano di accordi, firmato in Egitto, voluto dal presidente americano Donald Trump allo scopo di chiudere il conflitto tra Hamas e Israele, mentre la fragile tregua, architrave dei patti, sembra reggere. Mercoledì, una delegazione di Hamas ha incontrato a Istanbul il capo dell’intelligence turca İbrahim Kalın per esprimere gratitudine per il ruolo di mediazione svolto nel garantire e monitorare il cessate il fuoco a Gaza. I membri dell’ufficio politico dell’organizzazione islamista palestinese, guidati dal capo negoziatore Khalil al-Hayya, hanno ribadito l’impegno per la tregua nonostante quelle che hanno definito “ripetute violazioni israeliane”. Ankara, al contrario del Qatar, non ha ribattuto che alcune violazioni sono state effettuate anche da Hamas. Del resto è ormai storia che il presidente -autocrate turco, Recep Tayyip Erdogan, ha sostenuto e continui a farlo Hamas da quando è salita al potere nella Striscia di Gaza nell’ormai lontano 2006.
Sempre all’inizio della settimana, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha rivelato che Hamas è pronta a cedere il controllo della Striscia. “Hamas è pronta a cedere l’autorità a un comitato composto da palestinesi che rappresenterà la volontà di Gaza”, ha detto Fidan ai giornalisti a Istanbul. Il messaggio é stato consegnato alla parte turca durante il vertice dei paesi musulmani che si è tenuto anche in quell’occasione a Istanbul proprio per discutere del piano di pace per Gaza. Al vertice era presente anche il ministro degli Esteri indonesiano Sugiono. L’Indonesia è il più vasto e popoloso paese musulmano e si è offerta di inviare sul terreno di Gaza migliaia di soldati come forza di interposizione. Ma finchè non ci sarà il pronunciamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nessuna disponibilità potrá tradursi in pratica.
La Turchia, assieme a Egitto e Qatar, ha firmato l’accordo di cessate il fuoco durante la visita di Trump in Egitto il 13 ottobre. Nella sua risposta formale al piano in 20 punti di Trump, pubblicato il 3 ottobre, Hamas aveva accettato di “cedere l’amministrazione della Striscia di Gaza a un organismo palestinese di indipendenti”, ma non aveva ancora annunciato pubblicamente la propria disponibilità a cedere il controllo dell’enclave. Per quanto riguarda la forza internazionale che dovrebbe venire schierata a Gaza, secondo il quotidiano libanese Al Akhbar, l’Egitto non vuole che la Turchia ne prenda parte. Una prova sarebbe proprio la mancata partecipazione del ministro degli Esteri egiziano al vertice di Istanbul dei paesi musulmani. Del resto tra Il Cairo e Ankara i rapporti non sono mai stati idilliaci specialmente da quando Erdogan è stato eletto la prima volta nel 2003.
I due paesi musulmani sono competitor in molti settori e si contendono inoltre le risorse energetiche nel Mediterraneo Orientale. L’Egitto starebbe conducendo intensi colloqui con Washington per impedire alla Turchia di partecipare alla Forza Internazionale di stabilizzazione. La diplomazia turca ha chiesto agli Stati Uniti di unirsi alle Forze di sicurezza interne a Gaza quando verranno stanziate ma il Cairo non fa mistero di volerlo impedire. Il Cairo, utilizzando il rifiuto da parte di Israele di ammettere forze militari turche nella Striscia – Israele e Turchia ormai sono acerrimi nemici – cerca di escludere la Turchia dalla partecipazione in cambio della concessione di un ruolo più ampio nel processo di ricostruzione.
Le fonti hanno rivelato che il rifiuto del Cairo è legato a considerazioni sulla sicurezza relativa al confine tra Egitto e Gaza, oltre a considerazioni politiche legate alla competizione con Ankara per l’influenza regionale. I colloqui con gli Stati Uniti sulla questione sarebbero scaturiti dai tentativi dell’Arabia Saudita e degli Emirati di promuovere la Turchia come alternativa all’Egitto a Gaza. Riad e Abu Dhabi starebbero sostenendo il ruolo della Turchia, potenza regionale non araba, per indebolire la potenza araba più vicina alla Striscia, ovvero l’Egitto che a livello geopolitico si contrappone su molti quadranti dello scacchiere mondiale alle monarchie del Golfo.