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Perché il confronto tra Recalcati e De Gregorio sull’educazione sessuale a scuola è un falso dilemma

Il dibattito sull'educazione sessuale tra falso dilemma ed emergenza sociale
Perché il confronto tra Recalcati e De Gregorio sull’educazione sessuale a scuola è un falso dilemma
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di Luciano Sesta

Il confronto che si è aperto in questi giorni fra Massimo Recalcati e Concita De Gregorio sull’educazione sessuale nelle scuole rappresenta in sé un falso dilemma. L’educazione sessuale “non serve” (Recalcati), infatti, solo quando le si affida il compito, impossibile, di risolvere i problemi che la rendono necessaria (De Gregorio).

In entrambi i casi si fraintende il concetto stesso di “educazione”, perché si confondono i tempi lunghi della formazione delle persone con quelli brevi richiesti dall’emergenza sociale. Una confusione di piani che crea false aspettative, destinate ad aumentare il nostro senso di frustrazione e di impotenza non appena ci scontreremo con l’impossibilità di realizzarle nei tempi e nei modi auspicati.

Il confronto Recalcati-De Gregorio, in quest’ottica, risente di un’idea “emergenziale” di educazione sessuale. Si svolge in un contesto in cui, dopo ogni triste caso di cronaca, il senso di impotenza per il danno ormai avvenuto si traduce in un confuso correre ai ripari “educando” all’affettività.

Si comprende, naturalmente, il senso di questa mobilitazione, più che mai necessaria, ma il rischio è di veicolare l’idea che l’educazione sia una pratica di immediata somministrazione, capace di produrre, al bisogno, i “bravi ragazzi” di cui la nostra società sarebbe carente. Come se persone da tutti ritenute “ben educate” un attimo prima non potessero, un attimo dopo, commettere le peggiori nefandezze.

Su quest’ultimo punto mi sembra che Recalcati veda meglio di De Gregorio. Gli esseri umani non sono pedine da muovere al servizio di opere di bonifica sociale concepite a tavolino. Nelle diverse, imprevedibili e spesso sfuggenti circostanze della vita, non c’è nessuno che possa dirsi esente da pulsioni e condizionamenti che potrebbero indurlo a perdere il controllo. Ciò non significa, naturalmente, che non si debba fare di tutto per prevenire la violenza, ma solo che, mentre lo facciamo, non dovremmo farci troppe illusioni.

Una di queste è trattare l’educazione sessuale come un metodo di prevenzione dei danni sociali e dei reati penali. È un’illusione, perché “educare” significa non già “indurre” comportamenti, ma “trasmettere” una sensibilità. Una buona educazione non è mai una garanzia di buoni costumi, come se “educato” equivalesse a “programmato”. Anche ben formato, infatti, qualunque essere umano rimane libero, e perciò “pericoloso”. E questo sembrano ignorarlo tanto la destra, con il suo atteggiamento conservatore e fatalista, quanto la sinistra, con il suo approccio progressista e, talvolta, troppo ingenuamente ottimistico.

È vero, come afferma Recalcati, che l’educazione, non solo sessuale, è più l’effetto collaterale di buone pratiche didattiche e relazionali che di una materia indipendente chiamata “Educazione sessuale”. Ma è anche vero che istituzionalizzare uno spazio specifico in cui parlarne e confrontarsi a scuola è pur sempre meglio di non farlo, soprattutto se si pensa che, in un mondo regolato da logiche 2.0, l’aula scolastica diventa l’unico luogo sociale in cui queste logiche possono essere momentaneamente sospese per essere ripensate insieme.

Da questo punto di vista, sembra che Recalcati sottovaluti il potenziale educativo della scuola, sopravvalutando quello della famiglia. È vero che un giovane si forma più tramite l’esempio di buoni genitori che grazie a un corso di educazione sessuale; ma quali genitori, per quanto esemplari, parlano di intimità sessuale ai propri figli? E, soprattutto, quanti e quali figli – magari dopo essersi “formati” su YouPorn – sarebbero realmente disposti a parlarne ai propri genitori?

Come e dove gettare un ponte fra un “bravo” genitore e il “cattivo” YouPorn? Ma soprattutto, al di là dell’educazione sessuale tacita e indiretta di una buona testimonianza genitoriale, è davvero auspicabile che il pudore su “certe cose” venga meno proprio fra genitori e figli?

Rispetto a quanto accade in famiglia, in effetti, è proprio a scuola che troviamo quel “distacco” che permette una maggiore libertà in tema di intimità sessuale. Certe cose si dicono più facilmente in presenza di estranei che di persone vicine. In quest’ottica, l’istituzione scolastica potrebbe diventare davvero il miglior alleato delle famiglie. In un quadro che, peraltro, metterebbe d’accordo un po’ tutti: pur essendo necessaria (De Gregorio), l’educazione sessuale non è sufficiente (Recalcati).

Che sia difficile trovare figure professionali che possano trattare una materia estremamente delicata e complessa (Recalcati), non è allora un’obiezione all’opportunità di introdurla nelle scuole (De Gregorio). È evidente, infatti, che l’educazione sessuale non risolve (subito tutti) i problemi che la rendono necessaria. Come qualunque altra pratica umana, del resto, in cui discutere un problema è pur sempre il modo migliore, se non di risolverlo, almeno di prepararsi ad affrontarlo.

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