“Lei aveva già avuto rapporti”, così i giudici di Macerata hanno assolto l’imputato accusato di violenza sessuale
Da tempo viene chiesta dalle associazioni che tutelano le vittime di violenza sessuale una legge sul consenso e oggi, con l’inizio in Corte d’appello di Ancona di un processo all’imputato “assolto” in primo grado perché la ragazza, all’epoca 17enne, “aveva già avuto rapporti dunque era in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione”, l’argomento torna a essere politico con la richiesta del Pd di approvare la legge in materia.
A innescare la reazione le motivazioni del processo di primo grado nei confronti di un uomo, all’epoca 25enne, assolto dall’accusa perché non più vergine. Come riporta Il Messaggero la minorenne, una cittadina straniera a Macerata per motivi di studio. “accettato la proposta dell’amica di un’uscita in quattro, in compagnia di due ragazzi italiani pressoché sconosciuti e di appartarsi in tarda serata in automobile in un luogo isolato e scarsamente illuminato“.
La sentenza
La prima coppia era scesa e la 17enne aveva accettato di sedersi sul sedile posteriore “nonostante fosse evidente a chiunque che fossero giunti in quel posto proprio a tale scopo” presumono i magistrati. La 17enne però aveva denunciato di essere bloccata e di aver opposto resistenza cercando di dare un pugno perché non voleva avere un rapporto. Ma l’uomo aveva proseguito lasciandole anche un livido sulla spalla bloccata. La giovane si era confidata con un’amica e con un’insegnante. Era stata quindi visitata e presentata una denuncia.
Per i magistrati però la 17enne “non aveva in alcun modo opposto resistenza, né invocato aiuto. Non aveva cercato di sottrarsi ad esempio aprendo la portiera posteriore, pur potendolo fare tranquillamente… Il suo ripensamento, non è stato recepito dall’imputato se non, forse, al termine del breve rapporto, quando la ragazza aveva deciso di fare ritorno al residence da sola a piedi”. I segni sulla spalla, come proposto dai consulenti della difesa, sarebbero stati dovuti a una “suzione”.
Il Tribunale poi aveva ritenuto in motivazione che la giovane donna “possa aver subito conseguenze sotto il profilo psicologico a seguito del rapporto che sicuramente non era avvenuto secondo le sue aspettative e forse in maniera troppo fugace e priva di tatto“. A verdetto e motivazioni si sono opposti procura e parti civili e saranno i giudici di secondo grado a determinare se la sentenza va ribaltata o confermata.
Le reazioni
Parlano di “sentenza choc” i parlamentari del Pd in Commissione Femminicidio Cecilia D’Elia, vicepresidente, Sara Ferrari, capogruppo dem, Filippo Sensi, Valeria Valente, Antonella Forattini e Valentina Ghio che “conferma che in Italia c’é assoluto bisogno di una legge sul consenso. Chiediamo alla Commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio e al Parlamento tutto di schierarsi senza distinzione di colori politici e appartenenze su una battaglia per l’approvazione di un testo di civiltà per le donne”.
“Come sempre non do giudizi di natura giudiziaria o processuale sulle singole vicende, ma a me pare che ancora una volta, alla luce di alcune frasi contenute in questa sentenza, si ponga una questione di cultura e di consapevolezza che rende necessaria quella formazione degli operatori sulla quale, non a caso, stiamo lavorando molto a livello normativo e non solo” afferma la ministra per la Famiglia, Natalità e Pari Opportunità Eugenia Roccella interpellata dall’ANSA. “Entrambe le leggi promosse dal governo – aggiunge – prevedono attività di formazione specifica nei confronti delle professionalità che a vario titolo si occupano di violenza contro le donne e vi entrano a contatto. La legge sul reato di femminicidio, in particolare, prevede la formazione obbligatoria per i magistrati. E allo stesso scopo il comitato tecnico-scientifico dell’osservatorio anti-violenza, insediato presso il mio ministero, ha realizzato un libro bianco per aiutare gli operatori ad acquisire consapevolezza di un fenomeno che presenta fortissime specificità”. A giudizio della ministra Roccella, “non è una questione di decisioni giudiziarie, che hanno le loro sedi per essere discusse.È invece una questione di cultura, di linguaggio, di percorso argomentativo, di consapevolezza”.
Il processo d’appello
Intanto la sostituta procuratrice generale di Ancona, Cristina Polenzani, ha chiesto di riformare la sentenza condannare l’imputato per violenza sessuale alla pena richiesta in primo grado (4 anni e 1 mese), o in subordine per fatto di minore gravità con pena che potrebbe scendere entro i limiti della sospensione condizionale. L’accusa ha sottolineato che le parole della ragazza furono “precise e puntuali”, che acconsentì ad “effusioni” e manifestò subito di non voler andare oltre. “Per non incorrere in violenza – ha ricordato la pg – il consenso ci deve essere dall’inizio alla fine del rapporto: lei manifestò subito il suo no” mentre “l’imputato non percepì volontariamente la volontà della ragazza”.
Il legale di parte civile ha ricordato anche il percorso di sostegno psicologico di circa due anni che la parte offesa, non presente in aula, dovette sostenere a suo tempo. In quel momento, aveva raccontato la giovane, tentò di urlare ma non vi riuscì mentre l’imputato la bloccava con una mano sulla spalla.
I difensori dell’imputato, che oggi era presente in aula, gli avvocati Mauro Riccioni e Bruno Mandrelli, hanno invece chiesto la conferma dell’assoluzione: il processo è di tipo indiziario, hanno ribadito, elencando una serie di circostanze e contraddizioni che, a loro giudizio, dimostrerebbero la non credibilità delle dichiarazione rese dalla ragazza tra cui il fatto che non avrebbe urlato o chiesto aiuto al momento del fatto e l’assenza di lesioni riscontrate durante gli accertamenti medici prima di sporgere la denuncia. Dopo i fatti, hanno sottolineato i difensori, nella chat con un amico il loro assistito usava toni scherzosi senza avere alcuna contezza di poter aver commesso un abuso. In appello la sentenza è stata riformata e l’imputato condannato a 3 anni.