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Strage di Castel d’Azzano, alcuni familiari dei carabinieri morti: “Preparazione e modalità del blitz da chiarire”

Daniele Piffari, il fratello del luogotenente Marco, si è affidato a un legale anche per comprendere "come è stata organizzata la perquisizione e l’irruzione"
Strage di Castel d’Azzano, alcuni familiari dei carabinieri morti: “Preparazione e modalità del blitz da chiarire”
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Ci sono domande difficili ma che alcuni familiari dei carabinieri morti nella strage di Castel d’Azzano hanno deciso di porre. Per fugare ogni dubbio, per capire se tutto si è svolto correttamente nel blitz notturno al casale dove vivevano i fratelli Dino, Franco e Maria Luisa Ramponi: “Serve fare chiarezza”, è la richiesta di Daniele Piffari, il fratello del luogotenente Marco, uno dei tre carabinieri deceduti nell’esplosione del 14 ottobre in provincia di Verona. Per questo si è affidato al legale Davide Adami.

Ci sono infatti domande rimaste sospese: “Bisogna capire come è stata organizzata la perquisizione e l’irruzione nella casa dei Ramponi e che cosa avevano in mano i militari per preparare il piano d’accesso al casale ma soprattutto se è stato fatto tutto il possibile per garantire l’incolumità dei carabinieri”, sottolinea l’avvocato al Corriere del Veneto precisando che “non stiamo puntando il dito contro nessuno” ma “vogliamo solo capire che cosa è andato storto”. Nessuna accusa, ma una richiesta di spiegazioni.

Che probabilmente parte dai precedenti nel villino dei Ramponi, che già lo scorso anno avevano saturato il casale con il gas. Un modus operandi simile a quello adottato nella notte della perquisizione che avrebbe dovuto precedere lo sgombero. La situazione era considerata a rischio, poiché erano state notate delle molotov sul tetto del casale durante un volo con i droni. Tant’è che erano state anche attivate le Uopi, le Unità operative di pronto intervento che solitamente operano in blitz antiterrorismo.

Ma Adami precisa: “Non è giusto accusare qualcuno adesso senza sapere”. Intanto l’avvocato di Dino Ramponi, Fabio Porta, insiste sulla necessità di differenziare le responsabilità penali dei tre fratelli Ramponi accusati di strage, oltre che di resistenza a pubblico ufficiale e detenzione di esplosivi. “Dino ha raccontato che non aveva più la residenza nel casale in via San Martino. Al giudice delle indagini preliminari ha riferito che dormiva in alcuni giacigli di fortuna”, racconta Porta che nei prossimi giorni farà visita a Dino.

Nel frattempo proseguono le indagini sul luogo dell’esplosione dove i carabinieri e vigili del fuoco sono tuttora al lavoro tra le macerie. Uno degli interrogativi da sciogliere è se oltre al gas ci siano altre sostanze che possono aver innescato l’esplosione. Al momento il casolare è sotto sequestro e quando l’area verrà liberata dal pubblico ministero bisognerà rivalutare l’immobile che era finito all’asta ma che ora, con ogni probabilità, dovrà essere demolito.

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