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Stop all’educazione affettiva a scuola mentre continua la violenza sulle donne: un tempismo agghiacciante

L’educazione affettiva e sessuale non è un capriccio ideologico: è un diritto. È uno strumento di libertà e di prevenzione
Stop all’educazione affettiva a scuola mentre continua la violenza sulle donne: un tempismo agghiacciante
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Nel giorno in cui una ragazza di 29 anni è stata uccisa con 34 coltellate, la maggioranza in Commissione Cultura approva un emendamento che vieta per legge l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole primarie e medie. Un tempismo agghiacciante, che racconta meglio di qualsiasi discorso la distanza abissale tra la realtà e le scelte di chi governa.

Mentre nel Paese continua una strage silenziosa, oltre settanta donne uccise dall’inizio dell’anno, la risposta politica non è più prevenzione, non è più educazione, non è più consapevolezza. È censura. È paura. È oscurantismo. Si sceglie di impedire alle nuove generazioni di imparare il rispetto, di comprendere le emozioni, di costruire relazioni sane, di riconoscere la violenza prima che sia troppo tardi. Si sceglie di lasciare bambine e bambini soli, immersi in un mondo che parla di sesso con la voce della pornografia più brutale, che mostra corpi come oggetti, che insegna il dominio invece della reciprocità.

L’educazione affettiva e sessuale non è un capriccio ideologico: è un diritto. È uno strumento di libertà e di prevenzione, un modo concreto per contrastare la violenza di genere e il bullismo, per educare alla parità, al consenso, alla dignità. Bloccarla significa negare ai nostri figli e alle nostre figlie la possibilità di crescere con la consapevolezza che l’amore non è possesso, che il corpo non è vergogna, che l’altro non è un nemico da controllare.

Ogni volta che una donna viene uccisa, sentiamo ripetere che “bisogna partire dalle scuole”. Eppure, quando arriva il momento di farlo davvero, chi governa sceglie la strada opposta, chiude le porte della conoscenza, impone il silenzio, mette il bavaglio all’educazione. Nel giorno in cui una giovane donna è stata massacrata, la maggioranza che ci governa ha deciso di uccidere anche la speranza di cambiare questa cultura, una cultura sessista, misogina, patriarcale, che continua a produrre violenza perché non la si vuole mettere in discussione. Una cultura che preferisce l’ignoranza alla responsabilità.

Ma c’è un dato che dovrebbe farci tremare, le vittime di violenza sono sempre più giovani. Ragazze appena ventenni, talvolta adolescenti, uccise da chi diceva di amarle. Ragazzi che riproducono modelli tossici imparati troppo presto, senza gli strumenti per riconoscerli e fermarli.
È da qui che nasce l’urgenza di introdurre nelle scuole un alfabeto gentile delle emozioni, per insegnare a riconoscerle, a gestirle, a nominarle. Perché la violenza nasce anche dal silenzio emotivo, dall’incapacità di dare un nome a ciò che si prova, dal vuoto educativo che riempiono la pornografia, il branco, la paura.

Da anni ho depositato una proposta di legge per introdurre in modo sistemico e continuativo percorsi di educazione affettiva e sessuale in tutte le scuole, di ogni ordine e grado. Una proposta che gli stessi studenti e studentesse chiedono a gran voce, consapevoli che serve per proteggersi e per crescere liberi. Lo chiedono nei corridoi delle scuole, durante gli incontri, nei questionari, nei progetti che li coinvolgono. Chiedono spazi sicuri dove poter parlare di sé, delle emozioni, delle relazioni, del corpo, del consenso. Chiedono di essere ascoltati da adulti competenti, non giudicanti, che sappiano aiutarli a orientarsi in un mondo in cui il sesso e l’amore vengono raccontati in modo distorto, violento, commerciale. Sono loro a domandare strumenti per capire la differenza tra affetto e possesso, tra desiderio e prevaricazione, tra libertà e abuso. Sanno che senza un’educazione affettiva e sessuale seria e strutturata, il vuoto lo riempiono i social, la pornografia e i modelli tossici di virilità e dominio.

E mentre gli adulti discutono di ideologia, i giovani chiedono solo di essere educati alla consapevolezza, al rispetto, all’empatia. Quando una ragazza di 15 anni ti dice che vorrebbe una scuola che la aiuti a capire cosa significa dire “no”, o quando un ragazzo di 16 ti confida che non sa come gestire la rabbia o la gelosia, capisci che questa non è una battaglia culturale astratta. È una battaglia concreta per la libertà e la sicurezza dei nostri figli e delle nostre figlie.

Eppure, le loro voci restano inascoltate. Si parla di loro senza mai parlare con loro. E così, mentre le nuove generazioni chiedono più educazione, più dialogo, più rispetto, la politica risponde con un muro di silenzio e di divieti. Sono proprio quei ragazzi e quelle ragazze, consapevoli, sensibili, curiosi, che possono cambiare davvero il futuro, se solo li lasciassimo parlare e imparare.

Purtroppo la mia legge è stata messa in un angolo. E con essa, le voci dei giovani che chiedono ascolto, che domandano strumenti, non prediche; rispetto, non controllo; libertà, non paura. Questa è la vera emergenza italiana, un Paese che ha smesso di educare, che si indigna di fronte al sangue, ma che rifiuta di parlare di affetto, di rispetto, di sesso, di libertà. E mentre un’altra vita si spegne, ci tolgono anche l’unico strumento che può salvarne altre.

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