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Sostegno, i docenti precari continuano ad aumentare (+18mila) e la continuità didattica resta un miraggio per molti ragazzi disabili. Ecco i numeri ufficiali

I supplenti individuati di ogni ordine e grado sono 121.026. E la norma varata dal ministro Valditara per la conferma del docente, ancora non basta. I sindacati: "Oggi più del 30% non è in possesso del titolo di specializzazione”
Sostegno, i docenti precari continuano ad aumentare (+18mila) e la continuità didattica resta un miraggio per molti ragazzi disabili. Ecco i numeri ufficiali
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Nemmeno il Governo Meloni ce l’ha fatta: i docenti precari sul sostegno continuano ad aumentare. La linea del grafico sui supplenti individuati per i ragazzi disabili di ogni ordine e grado è sempre più in salita: quest’anno – secondo i dati forniti negli ultimi giorni dal ministero dell’Istruzione e del Merito – sono 121.026. Circa 18mila in più rispetto allo scorso anno. Una vera e propria emorragia che deve fare i conti con il fatto che i posti di sostegno (in generale, stabili e “in deroga” ovvero precari) in vent’anni sono aumentati a dismisura: da 94.430 nel 2011/12 a 234.460 nel 2023/24.

Le regioni con più insegnanti precari sono la Lombardia (14.435) il Lazio (13.266), la Campania (12.395) e la Sicilia (12.252). Tolte Basilicata e Molise che hanno numeri a tre cifre viste le dimensioni, le regioni che ricorrono meno ai supplenti sono l’Umbria (3.035) e la Calabria (3.636). Numeri che celano una realtà che mette in luce il segretario generale della Uil Scuola, Giuseppe D’Aprile: “La precarietà ha assunto dimensioni inaccettabili sul sostegno. Migliaia di alunni si ritrovano a inizio anno con un insegnante diverso da quello precedente, con conseguenze negative sulla continuità didattica e sulla qualità dell’inclusione”. A dire il vero, il ministro Valditara, con una norma – messa in discussione dal sindacato – ha permesso alle famiglie di confermare il docente dell’anno precedente: possibilità che è stata adoperata da 44.926 docenti su 121.026 supplenti complessivi.

Ma perché la “supplentite” – per dirla con le parole dell’ex premier Matteo Renzi che quand’era al Governo aveva promesso di eliminarla – non si riesce ad estirpare nel caso di maestri e professori dei disabili? “I posti di sostegno in Italia sono il business della speranza”, dice Antonio Antonazzo, dirigente della Gilda Scuola. La questione è un affare per le Università ma oggi il risultato è una programmazione fallimentare per cui al Sud abbiamo più docenti specializzati che cattedre e al Nord più ragazzi con necessità che insegnanti. Cosa manca? Lo dice bene, D’Aprile: “Mettere in stretta relazione il numero dei posti con il fabbisogno territoriale”.

Sembra facile ma in questi anni per usare le parole della Fish (la Federazione italiana per il superamento dell’handicap) è mancato un processo “virtuoso che in breve tempo, realizzi il percorso di formazione dei docenti specializzati sul sostegno, evitando per il futuro di trovarsi in analoghe situazioni emergenziali, dovendosi ricorrere a ripetute sanatorie, per sopperire alle scoperture sui posti di sostegno. Il tutto a detrimento della qualità del sistema inclusivo che, invece, deve sempre rappresentare il primario obiettivo da perseguire”.

Ma se le parole non sono chiare torniamo ai numeri. A detta dell’Anffas nell’anno scolastico 2024/2025 erano 331.124 gli alunni con disabilità nelle scuole statali, mentre i posti di sostegno erano 205.2531, una forbice abbastanza importante. “Il problema – sottolinea Roberto Speziale, il presidente dell’Anffas Associazione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettive e disturbi del neuro sviluppo – resta nella formazione. Già negli anni 2023/2024 l’Istat indicava 246mila insegnanti per il sostegno impiegati nelle scuole italiane, oltre 235mila nella scuola statale e circa 11mila nella scuola non statale, ma registrava anche la selezione di più di 66 mila insegnanti per il sostegno (il 27%) dalle liste curricolari, quindi, docenti senza una formazione specifica volta a supportare l’alunno con disabilità e utilizzati per far fronte alla carenza di figure specializzate”.

Un problema che, secondo i dati regionali che ci sono stati forniti dalla Gilda Scuola, si presenta anche quest’anno. La scorsa primavera il ministero ha diffuso una tabella dei posti di sostegno necessari per coprire il fabbisogno. Se si raffrontano con i posti Tfa sostegno decimo ciclo scopriamo che la Lombardia ne ha soli 920; il Piemonte 2.350; 660 l’Emilia Romagna mentre dagli atenei del Sud sono “usciti” in 4000 in Sicilia; 650 in Sardegna e in Campania 4320. A questi vanno aggiunti i cosiddetti posti Indire, ovvero la “pezza” studiata da Valditara: corsi della durata di quattro mesi, online, che devono concludersi entro il 31 dicembre 2025 ma che prevedono solo 40 crediti formativi rispetto ai 60 previsti dal Tfa.

“Da sempre Anffas – dice al Fatto il suo presidente – ribadisce che avere una figura qualificata, formata e specializzata è fondamentale per gli studenti con disabilità e lo scorso anno lo stesso ministro dell’Istruzione e del Merito in una audizione parlava di circa 85.000 docenti privi di specializzazione sul sostegno. Quando si parla di scuola, ed in particolare di inclusione scolastica, si citano sempre numeri, posti, banchi e cattedre: dobbiamo però tenere sempre bene a mente che stiamo parlando di bambini e bambine, di ragazzi e ragazze, di persone che hanno il diritto di poter costruire il proprio futuro in maniera. consapevole, con gli strumenti adeguati, senza essere discriminati”. E se le famiglie combattono con loro ci sono anche le organizzazioni sindacali. “È nota a tutti – sottolinea D’Aprile – la carenza diffusa di docenti specializzati per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità nelle scuole di ogni ordine e grado. Oggi più del 30% dei supplenti assegnati ad alunni con disabilità non è in possesso del titolo di specializzazione”.

Non solo. La Uil Scuola ha impugnato il decreto ministeriale 32 del 26 febbraio 2025, che prevede per l’anno scolastico 2025-26 la conferma del docente di sostegno in base alla scelta delle famiglie: “Ciò – spiegano i vertici -lede i diritti del personale e incoraggia un sistema clientelare e di facile ottenimento del consenso, minando il principio di imparzialità del nostro sistema scolastico statale e costituzionale, garante di laicità, trasparenza e pluralismo. Scegliersi i docenti equivale a trasformare l’istruzione costituzionalmente definita quale funzione essenziale dello Stato in un servizio che rispondere solo ai “desiderata” delle famiglie. Legare il concetto della continuità didattica, da garantire all’alunno con disabilità, ad una “scelta” delle famiglie, è l’ennesimo tentativo di nascondere o di rinviare i veri problemi in materia di reclutamento”.

Così la pensa anche la Flc Cgil: “Il fenomeno delle cattedre in deroga, e cioè al 30 giugno, unitamente all’incapienza, in alcune regioni, delle graduatorie preordinate alle immissioni in ruolo sui posti di sostegno e alla carenza di docenti specializzati, ha impattato drammaticamente sul tasso di precarietà nel sostegno: oggi oltre la metà degli insegnanti su posto di sostegno sono a tempo determinato, con contratti che, nella migliore delle ipotesi, hanno scadenza al 30 giugno per essere – forse – rinnovati l’anno successivo. Le conseguenze – dice Manuela Calza, della segreteria nazionale – soprattutto in termini di continuità, sono evidenti. Il presupposto di qualsiasi proposta di riforma e di modifica degli attuali assetti, a garanzia della continuità e della stabilità lavorativa e, di conseguenza, della qualità dell’offerta formativa, non può che essere il consolidamento in organico di diritto degli oltre 130mila posti che ogni anno vengono assegnati in deroga”.

C’è un altro problema che evidenzia il sindacato di Landini: occorre per far fronte alla carenza di docenti specializzati, agendo sul piano della formazione iniziale, anche in considerazione del fatto che dai dati delle iscrizioni all’ultimo ciclo del Tfa sostegno in molte università le richieste sono inferiori ai posti attivabili.

“È pertanto necessaria – aggiunge Calza – un’inversione di rotta sui costi della formazione che oggi è a carico totalmente dei corsisti: l’offerta formativa degli atenei, sottolinea la sindacalista, deve essere garantita dallo stato e dalla fiscalità generale e gratuita per i soggetti che intendono accedere”. A battersi c’è anche il presidente Anief Marcello Pacifico: “Abbiamo fatto un reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali nel 2021 i cui esiti saranno pubblicati a dicembre. Tra il 2017 e il 2021 abbiamo fatto ricorso anche al Consiglio di Stato contro il numero programmato di Tfa che non corrispondeva al reale fabbisogno. Il problema della continuità didattica è quello dell’assegnazione in ruolo. Finalmente ci saranno i cosiddetti corsi Indire che non dovranno essere usati come supplenze. Inoltre servirebbe un’indennità specifica per incentivare questa delicata e importante professione”. Sul fronte di chi sta dall’altra parte la situazione è più complessa. Ce lo spiega Luciana Volta, numero uno dell’ufficio scolastico regionale della Lombardia: “E’ difficile fare una diagnosi ma vi è il concorso di una serie di fattori: la mancanza di corsi dedicati ma forse anche l’assenza di attrattività per questo lavoro. Non le nascondo che d’ora in avanti mi piacerebbe che chi sceglie questa strada lo faccia con motivazione e in maniera sensata”.

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