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La PA italiana è sospesa tra due mondi: digitale nei documenti, analogica nei corridoi

SPID e PEC coesistono con mentalità e procedure pubbliche ancora su carta. Serve una governance efficace, un monitoraggio continuo e sistemi di accountability
La PA italiana è sospesa tra due mondi: digitale nei documenti, analogica nei corridoi
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La Pubblica Amministrazione italiana vive da anni un paradosso: mentre i documenti viaggiano in digitale, i corridoi restano profondamente analogici. Portali, SPID, PEC e piattaforme online vengono annunciati come strumenti per modernizzare lo Stato, ridurre tempi e code e avvicinare i cittadini ai servizi pubblici. Nella pratica, tuttavia, la realtà è spesso diversa. I documenti digitali vengono stampati, protocollati, spostati da scrivania a scrivania, replicando passaggi cartacei che dovrebbero essere superati. La digitalizzazione, così, diventa un rivestimento superficiale sopra procedure invecchiate.

Il cittadino è obbligato a dotarsi di identità digitale e firma elettronica, ma in molte situazioni la PA continua a richiedere firme autografe, copie cartacee o visite agli sportelli. Ne deriva un paradosso evidente: la promessa di modernità esiste solo sulla carta, mentre nella sostanza le pratiche rimangono lente e complesse. Chi lavora all’interno della PA conosce bene questo doppio binario: procedure digitali, ma mentalità e processi ancorati a logiche pre-digitale.

Le cause sono note e persistenti. La resistenza culturale è forte: molti operatori affidano la gestione delle pratiche a strumenti conosciuti e tradizionali, ritenendo il digitale complicato o insicuro. Le infrastrutture sono disomogenee: la dotazione tecnologica varia sensibilmente tra uffici centrali e periferia. Infine, il quadro normativo non è sempre coerente: se da un lato il documento informatico ha pieno valore legale, dall’altro continuano a esistere obblighi cartacei e firme autografe che vanificano l’efficienza promessa. In altre parole, si digitalizza il documento, ma non il procedimento: i flussi rimangono identici, replicando vecchi passaggi in formato digitale senza reale semplificazione.

A questa sfida si aggiunge un nuovo livello di complessità: l’introduzione dell’intelligenza artificiale nella PA. Con l’approvazione recente della legge italiana sull’IA, il legislatore ha definito criteri chiari di trasparenza, tracciabilità e responsabilità nell’uso di algoritmi pubblici. Questo passaggio normativo evidenzia che la modernizzazione non riguarda più solo documenti elettronici, ma anche strumenti decisionali automatizzati, che richiedono competenze specifiche e ripensamento dei processi. Senza un approccio organico, l’IA rischia di moltiplicare gli stessi problemi del cartaceo, producendo inefficienza invece di semplificazione.

Le conseguenze del doppio binario si riverberano su cittadini e funzionari. Per i primi significa tempi lunghi, procedure ridondanti e frustrazione. Per i secondi, carichi di lavoro più pesanti e processi duplicati. La promessa di efficienza, minori costi e meno carta resta disattesa, alimentando sfiducia verso la PA e la percezione di una burocrazia immutabile.

Una vera trasformazione richiede più di strumenti digitali: serve ripensare i processi dall’inizio, eliminare passaggi superflui e progettare flussi costruiti attorno alle possibilità del digitale. Serve formazione diffusa, che renda il personale protagonista della trasformazione e non vittima di obblighi normativi. Servono infrastrutture uniformi, regole coerenti e trasparenza: la digitalizzazione non può essere misurata dal numero di portali attivati, ma dall’effettiva semplificazione dei percorsi e dalla riduzione dei tempi per cittadini e funzionari.

Oggi la PA italiana è sospesa tra due mondi: digitale nei documenti, analogica nei corridoi. È una rivoluzione a metà, che rischia di diventare un’illusione costosa e frustrante. Come ho scritto anche relativamente al settore sanitario, dove le inefficienze organizzative mettono a rischio la qualità dei servizi e la fiducia dei cittadini, il problema non è circoscritto: le stesse dinamiche interessano l’intera Pubblica Amministrazione.

La tecnologia, le risorse e le competenze ci sono, ma ciò che manca è la volontà di superare l’inerzia culturale, smontare logiche obsolete e costruire un’organizzazione all’altezza delle promesse. La modernizzazione della PA non può limitarsi alla digitalizzazione dei documenti: richiede governance efficace, monitoraggio continuo e sistemi di accountability che garantiscano trasparenza, rispetto dei diritti e reale semplificazione dei processi.

Questo ragionamento apre naturalmente ai temi dei prossimi approfondimenti: come l’innovazione tecnologica, una contrattazione pubblica moderna e il contributo dei giovani nella PA possano diventare leve concrete per trasformare l’amministrazione in un’organizzazione più efficiente, responsabile e al servizio della collettività. Il filo che lega questi temi, dall’efficienza del SSN alla digitalizzazione dei corridoi fino alle competenze future, mostra chiaramente che la vera rivoluzione della PA non è solo tecnologica, ma anche culturale, organizzativa e strategica.

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