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Gaza, il senso di Tajani per il cemento

Il 9 ottobre Trump annuncia il cessate il fuoco, il ministro degli Esteri appena sveglio ha già un pensiero fisso: l'Italia "è pronta a fare la sua parte nella ricostruzione di Gaza"
Gaza, il senso di Tajani per il cemento
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Il 9 ottobre, appena sveglio, Antonio Tajani ha già un pensiero fisso. Donald Trump ha annunciato l’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, la firma ancora non c’è ma il ministro degli Esteri mette subito in chiaro: l’Italia “è pronta a fare la sua parte per consolidare il cessate il fuoco, per fare arrivare nuovi aiuti umanitari e per partecipare alla ricostruzione di Gaza – assicura alle 6.55 su X -. Pronti anche a inviare militari in caso di creazione di una forza internazionale di pace per riunificare la Palestina”.

Poco dopo, parlando ai cronisti in Transatlantico, il capo della Farnesina (nella foto con l’omologo israeliano Gideon Sa’ar) ribadisce il concetto: “Bisognerà lavorare tanto sulla ricostruzione e sugli aiuti alla popolazione civile. Abbiamo tante imprese e ci sono già tante esperienze di aeree devastate” e “a livello militare siamo disponibili a dare un contributo”.

Siccome repetita iuvant, lo ripete 20 minuti dopo in radio: “Oggi ci sarà anche una riunione a Parigi per vedere la fase della ricostruzione, perché bisogna anche ricostruire quella fascia della Striscia di Gaza che dopo due anni di guerra è devastata“, spiega ai microfoni di Rtl 102.5. D’altronde l’Italia un piede nella Striscia ce l’ha già: “Già abbiamo carabinieri che formano la polizia palestinese a Gerico. In più ci sono carabinieri all’ingresso di Rafah“. Su queste basi “diamo la nostra disponibilità a dare aiuti umanitari, partecipare alla ricostruzione e partecipare eventualmente alla gestione internazionale di una situazione che porti alla unificazione della Palestina”.

Neanche una volta atterrato a Parigi, a margine della riunione ministeriale al Quai d’Orsay, Tajani si lascia sfuggire l’occasione: “Noi sosteniamo il piano Trump: per quanto riguarda quindi anche la parte della ricostruzione possiamo contribuire attraverso l’industria dell’edilizia, la costruzione di ospedali”.

Ora è chiaro, no? Macché. “Ho detto a tutti i ministri presenti a Parigi che vogliamo essere protagonisti oltre che della sicurezza, della ricostruzione”, spiega il ministro il giorno dopo in un’intervista al Quotidiano Nazionale. “Noi certamente parteciperemo alla ricostruzione“, aggiunge baldanzoso a Mattino 5. Per poi ribadire il concetto nel pomeriggio in un comizio a Firenze: “Noi vogliamo essere protagonisti della ricostruzione“.

Finita qui, finalmente? Manco per niente: “Siamo pronti a partecipare con i nostri militari ad una missione di pace e sicurezza, con le nostre imprese a ricostruire Gaza partendo da scuole e ospedali”, ha twittato ancora oggi riferendo del colloquio telefonico avuto con il segretario di Stato americano Marco Rubio.

Ministro Tajani, stia tranquillo, il messaggio è arrivato a chi doveva arrivare: ai colossi nostrani dell’edilizia. Ora ci permetta una riflessione. Promuovere gli interessi delle aziende italiane rientra almeno in parte nel suo ruolo di ministro e i suoi colleghi all’estero fanno lo stesso. Però con migliaia e migliaia di cadaveri che ancora giacciono sotto alle macerie, non sarebbe stato il caso di aspettare a parlare di cemento? Solo qualche giorno, mica di più.

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