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Un ipnotico Flammenwerfer al Romaeuropa Festival 2025

Lo spettacolo è ispirato alla vita tormentata di Carl Fredrik Hill (1849-1911), il Corot svedese, pittore afflitto da problemi di salute mentale (psicosi e schizofrenia) e notevolmente prolifico
Un ipnotico Flammenwerfer al Romaeuropa Festival 2025
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Per la terza volta in meno di un anno, il pubblico romano ha potuto ammirare nel suo ipnotico carisma Blixa Bargeld: quasi esattamente un anno fa con gli Einstürzende Neubauten, gruppo-monumento dell’avanguardia tedesca di cui è storico leader, il mese successivo col sodale Teho Teardo all’Hacienda, e in questi ultimi giorni, dal 26 al 28 ottobre al Teatro Argentina, come co-compositore e co-protagonista dello spettacolo Flammenwerfer del progetto Hotel Pro Forma.

Prima di raccontarvi la prima dello spettacolo, una considerazione generale: spesso i romani si lamentano della scarsa proposta culturale degli eventi capitolini, non all’altezza di una metropoli europea. Ebbene, venerdì 26 c’era veramente l’imbarazzo della scelta, per tutti i palati: il citato Teardo con Elio Germano al Teatro di Ostia Antica nel loro recital musicale dedicato al Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline (probabilmente il romanzo più bello del Novecento); A Place of Safety al Teatro Vascello, con Davide Enia in sostituzione di Flavio Catalano e Dario Salvetti in sostituzione di Miguel Duarte (il primo ufficiale tecnico sommergibilisti della Marina Militare in pensione volontario su Life Support per EMERGENCY, il secondo fisico matematico portoghese oggi capo missione per Sea-Watch, entrambi imbarcati sulla Global Sumud Flottilla verso Gaza); il debutto di Diego Ceretta sul podio del Teatro dell’Opera, con Marc Bouchkov al violino, in un concerto dedicato a Brahms e Dvořák; il ritorno dei The Magnetic Fields all’Auditorium.
Non esattamente una serata noiosa.

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Venendo allo spettacolo dell’Argentina, tra le proposte più interessanti del Romaeuropa Festival 2025, si tratta di una collaborazione complessa e ricca di suggestioni, così presentata ufficialmente: “una performance di teatro musicale, creata da un tram artistico d’eccellenza”. Affermazione veridica: la direzione è affidata a Kirsten Dehlholm e Marie Dahl, le musiche originali del citato Bargeld (con estratti dalle composizioni di Nils Frahm), che le interpreta dal vivo insieme all’ensemble vocale IKI; le luci sono firmate da Jesper Kongshaug, le scenografie da Henrik Vibskov e le proiezioni da Magnus Pind.

Lo spettacolo è ispirato alla vita tormentata di Carl Fredrik Hill (1849-1911), il Corot svedese, pittore afflitto da problemi di salute mentale (psicosi e schizofrenia) e notevolmente prolifico: nei suoi ultimi, dolenti anni produrrà un numero imponente di disegni (2.600 sono custoditi al Malmö Konstmuseum), straziante testimonianza del suo stato interiore.

I disegni più significativi vengono proiettati in grande formato come sfondo della scena e in controluce su un’immane velo (“garze” le definisce Bargeld in un’intervista con Luca Valtorta su Repubblica), una struttura impalpabile che imprigiona all’interno delle visioni di Fredrik Hill l’ipnotica performance dell’ensemble vocale IKI (Johanna Sulkunen, Guro Tveitnes, Kamilla Kovacs, Randi Pontopiddan, Jullie Hjetland, quest’ultima in sostituzione di Anna Mose). Come ha scritto Carlo Antonelli nel libretto di scena: “la partitura (e il libretto) ci vorrebbero portare in un universo pre-basagliano di orribili e certamente esecrabili tentativi di cura e sollievo della malattia mentale”.

La struttura quasi operistica della performance è divisa in alcuni segmenti concettuali che ritmano le fasi della malattia mentale (psicosi, ansia, paranoia, erotomania, isolamento); Bargeld appare in scena, alternato con IKI (immerso da Vibskov in atmosfere a metà tra Robert Wilson e Klaus Nomi), prestando il suo talento vocale e il fascino interpretativo alla manifestazione artistica del delirio: le sue urla ripetute in loop sono il significante perfetto per esprimere le “visioni di follia per pura voce”, come le ha raccontate nell’intervista citata.
Peccato che, nei momenti di pura spoken poetry in tedesco, non fossero attivi i sopratitoli, facendo perdere il senso del monologo alla stragrande maggioranza del pubblico (molti dei brani erano in un più comprensibile inglese).

Come ha reagito il pubblico a 75 minuti di delirio, di immagini folli proiettate su un coro a metà tra Le Mystère des Voix Bulgares e una versione spettrale di Enya, intervallato da Bargeld che urla con disperata sprezzatura versi sulla scissione psichica di un artista pressoché ignoto nel nostro paese? Con l’entusiasmo di una standing ovation.

A dimostrazione di come la vera arte superi qualsiasi barriera linguistica, nella magia dell’abbandono estetico.

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