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Sulla Palestina l’Africa ha già scelto da che parte stare: il Nord del mondo dovrebbe prendere esempio

Mentre l'Europa dibatte, il continente africano ha scelto da tempo da che parte stare nella questione palestinese
Sulla Palestina l’Africa ha già scelto da che parte stare: il Nord del mondo dovrebbe prendere esempio
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“La causa del popolo palestinese è la nostra causa e, come africani, sappiamo bene cosa significa vederci strappare la nostra terra, cosa significa vedere il nostro destino deciso altrove, su mappe tracciate da mani che non conoscono la nostra lingua né il nostro dolore. Noi non siamo contro il popolo ebraico, così come non siamo contro nessun popolo. Siamo contro ogni sistema che opprime, colonizza, disumanizza. Che si chiami imperialismo, sionismo o dittatura del profitto”.

Così parlava Thomas Sankara, leader rivoluzionario e presidente del Burkina Faso, al vertice del Movimento dei Non Allineati di Harare nel 1986. Quarant’anni dopo, quelle parole sono e restano di sorprendente attualità. Noi non ci siamo ancora arrivati. Mentre in parte dell’Europa qualcosa è cambiato, in altri Paesi come Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Italia, Lituania, Paesi Bassi si discute ancora se e come riconoscere lo Stato di Palestina.

L’Africa però ha scelto da tempo da che parte stare: 52 Paesi su 54 hanno formalmente riconosciuto la Palestina, lasciando fuori solo Camerun ed Eritrea. Questo sostegno non nasce da ostilità verso il popolo ebraico, ma da una visione più ampia: la causa palestinese come parte di una lotta globale contro colonialismo, imperialismo e sfruttamento.

Negli anni Settanta, già si intravedeva il sostegno africano alla causa palestinese. Nel 1979, ad esempio, il poeta-presidente del Senegal Léopold Sédar Senghor respinse le aperture del premier israeliano Menachem Begin, affermando che Israele non poteva pretendere riconoscimento senza confrontarsi con il proprio razzismo. Pochi anni più tardi, nel 1988, arrivò un altro passaggio chiave: il 15 novembre Yasser Arafat proclamò ad Algeri l’indipendenza palestinese. Nello stesso giorno l’Algeria fu il primo Stato al mondo a riconoscere ufficialmente la nuova entità. Nel giro di poche settimane altri 75 Paesi seguirono quell’esempio, e tra i più rapidi figuravano molti Stati africani: dal Sudan all’Egitto, dalla Nigeria al Burkina Faso, fino a Senegal, Guinea, Marocco, Tunisia e Mauritania. Erano Paesi appena usciti dal colonialismo e vedevano nella resistenza palestinese il riflesso della propria lotta per la libertà, senza per questo rinunciare a rapporti diplomatici con Israele.

Avanzando nel tempo, nel 1995 – all’indomani della fine dell’apartheid – Nelson Mandela fece del riconoscimento ufficiale della Palestina una delle prime decisioni simboliche del nuovo Sudafrica. Oggi Pretoria non solo mantiene quella posizione, ma ha denunciato Israele per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, chiedendo sanzioni economiche e culturali simili a quelle che un tempo isolarono il regime sudafricano. “So che per molti questo potrà sembrare solo un gesto simbolico, ma in realtà, proprio sul piano del simbolismo, rappresenta una sorta di punto di svolta – ha scritto sul New York Times l’avvocato e docente di diritto franco-britannico Philippe Sands – perché una volta che si riconosce lo Stato di Palestina, si pone di fatto la Palestina e Israele sullo stesso piano quanto al trattamento previsto dal diritto internazionale“.

Se l’Europa continua a interrogarsi su “se” e “quando”, l’Africa ha già deciso “perché” e “come”. Senza se e senza ma. Forse è tempo che il Nord del mondo guardi al Sud come a un “Maestro”, capace di insegnare cosa significhi davvero scegliere da che parte stare.

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