Dietro i match di Charlie Kirk un subdolo rituale di prevaricazione
Cosa sappiamo di Charlie Kirk a parte la stucchevole agiografia che ci stanno propinando da giorni? La domanda è fondamentale perché, come per ogni cosa della vita, possiamo giudicare una persona solo se ne sappiamo qualcosa. Il fatto è che, se siete italiani, fino ad una settimana fa non avete mai sentito parlare di Kirk siete perfettamente normali. Kirk è stato un fenomeno tutto interno al mondo dei social statunitensi.
Ben oltre l’inutile disquisizione su omicidio buono/omicidio cattivo (spoiler: l’omicidio è male e NESSUNO lo giustifica), sottolineare alcuni aspetti della sua persona e del suo modo di intendere il confronto ci può insegnare tanto ed aiutarci a capire cosa fare.
Per comprendere brevemente cosa ha rappresentato l’influencer Maga per la società civile bisogna rivolgersi al suo format: “Prove me wrong”. Confuso con un modello di dibattito, il programma di Kirk è sempre stato un subdolo rituale di perversa prevaricazione. Invece di un confronto fra pari, da una parte vi è un decisore delle regole del confronto seduto comodamente sotto un gazebo; dall’altra un mendicante discorsivo, in piedi sotto il sole che ha pochi secondi per vomitare la sua indignazione. Tutta la costruzione simbolica della scena è tesa a sottolineare un clima di sottomissione che dev’essere accettata in silenzio.
Per quanto concerne gli interventi, Kirk è stato maestro della fallacia logica. La sua strategia era sempre la stessa: costruire un bersaglio attraverso quella che in logica è nota come “straw man fallacy”, bersagliarlo attraverso esempi decontestualizzati e chiudere con una domanda retorica. Kirk ha sempre giocato a far finta di non capire (o forse non capiva davvero) che la verità non è l’unico criterio di esclusione di un’affermazione, ma che un ruolo centrale lo gioca anche la pertinenza dell’argomento con la discussione.
Cosa si apprende da questi confronti? Nulla! Dati finti e argomentazioni fallaci sono tutto ciò che ci rimane, tuttavia, nell’immediato possiamo reclamare di avere “demolito” il nostro avversario. Ciò che conta è appagare il nostro ego (e generare views monetizzabili). Negli Usa, la celebre serie animata Southpark ha definito questo teatrino “de(mastur)bating”: un gioco di parole tra debating (dibattere) e masturbating (masturbarsi). Il fine non è persuadere l’altro, neppure sconfiggerlo. L’altro è solo il feticcio che tappa il buco del perverso: l’altro esiste solo come strumento di godimento. Questo vale per Kirk, ma vale ancora di più per i suoi follower che scrivono commenti di fuoco e repostano compulsivamente, godendo perché il loro “padrone” ha goduto.
C’è, infine, un altro protagonista della storia. Se Freud ci ha insegnato qualcosa è che anche nella relazione di dominio c’è sempre godimento da entrambe le parti. Gli studenti che si sono prestati non sono innocenti, anzi. In fila con l’aria docile di chi sa di essere in procinto di farsi abbattere, essi non erano un ostacolo, ma il fondamento “o-sceno” della sua affermazione. Per molti, la parte più importante era la partecipazione al video, l’apparire in un profilo famoso: poco importa che il prezzo fosse la loro umiliazione. La ribellione, dopotutto, è un po’ una festa da college: si grida, si consuma e poi si torna a casa frastornati.
In questo rito Kirk, ed il suo fallace sadismo, incarnano il ruolo del Padre perverso. La sua iniziale aggressività ed il suo successivo tono bonario sono le lame della castrazione simbolica. Il giovane liberale ingenuo assurge alla vita adulta attraverso il trauma della sodomizzazione verbale: il Padre perverso accoglie tra i grandi attraverso l’insegnamento traumatico delle cose serie. Si compie un rituale di crescita basato sulla sottomissione; il godimento perverso del trauma.
Dalla vicenda Kirk possiamo imparare non solo come agisce e opera la propaganda politica nel XXI secolo, ossia fuori dalla politica, ma può insegnare molto anche ai movimenti politici. Può insegnarci a regolarci contro la versione adulta di quei ragazzi che si sono immolati con soddisfazione alla voracità di Kirk. Tutti coloro che, da una presunta parte opposta della barricata, tentano di assordarci con la rivendicazione che “la violenza non è mai giustificabile”. Dietro i loro proseliti contro la violenza – che NON sto giustificando – si nasconde un essere molto più terrificante: il conflitto. Questi morali e moralisti ricordano, prima di tutto a loro stessi, che, in fin dei conti, la sottomissione è meglio del conflitto.
Affermando che si poteva non essere d’accordo con Kirk, ma bisognava apprezzarne la passione essi stanno in realtà abbracciando il loro transfert e tornando i giovani che sono stati. Giovani, liberali, dalle idee confusamente progressiste, desiderosi di opporsi, ma anche di essere accettati da chi contestano. In piedi con un megafono, dinanzi un padre perverso pronto a circonciderli intellettualmente e con un brivido di vergognosa eccitazione che gli solca la schiena.
Perché, dopotutto, “si poteva non essere d’accordo con Kirk”, ma nella vita bisogna farsi furbi, diventare grandi, capire chi comanda… e accettare l’evirazione con il sorriso.