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La Consulta le riconosce entrambe madri dopo anni di ricorsi, ma i 14mila euro di spese legali sono a carico loro

Il Viminale ha perso, ma a pagare saranno Giulia Garofalo Geymonat e Denise Rinehart, coppia sposata che ha lottato per il diritto a essere genitori di un figlio concepito all’estero
La Consulta le riconosce entrambe madri dopo anni di ricorsi, ma i 14mila euro di spese legali sono a carico loro
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La Corte Costituzionale a maggio gli dà ragione, ma un mese dopo arriva una parcella di 14mila euro di spese legali degli avvocati di Stato da pagare. È questa la sintesi di una vicenda kafkiana che ha coinvolto Giulia Garofalo Geymonat e Denise Rinehart, una coppia di donne sposate che per circa nove anni ha portato avanti una battaglia legale, la prima avviata in Italia, per vedere riconosciuto il loro diritto a essere genitori di un figlio nato da procreazione medicalmente assistita (Pma) all’estero: fino al pronunciamento della Consulta di maggio scorso solo la donna che aveva partorito era riconosciuta come madre nei documenti ufficiali, mentre l’altra non aveva alcun diritto né dovere sul bambino.

Il fardello economico insostenibile per la coppia ha origine dalla sconfitta che arriva nell’ultimo miglio della loro lunga battaglia legale contro il ministero dell’Interno, con la sentenza della Cassazione del gennaio 2024 che respinge definitivamente la loro istanza. Ma un anno e mezzo dopo, la Corte Costituzionale, analizzando un caso analogo di un’altra coppia di donne, ribalta tutto dichiarando incostituzionali gli argomenti utilizzati dagli avvocati dello Stato, quindi anche quelli impiegati nel caso di Giulia e Denise che però, avendo perso un anno e mezzo prima del pronunciamento della Consulta, ora devono pagare 14mila euro di spese processuali e stanno chiedendo un sostegno per raggiungere la cifra.

Non importa se la Corte ha stabilito che una parte dell’articolo 8 della legge 40 del 2004, che regola in Italia la fecondazione artificiale, è incostituzionale, e quindi anche gli argomenti utilizzati dall’Avvocatura dello Stato contro Giulia e Denise e tutte le coppie di donne che negli anni hanno vissuto veri e propri calvari giudiziari, finanziari e sentimentali, per vedere riconosciuto il pieno diritto alla genitorialità. “La sentenza della Consulta – spiega Giulia – è un passo storico importante contro la discriminazione LGBTQ+ e a favore dell’uguaglianza tra bambini, anche se restano grandi discriminazioni, visto che la Pma in Italia è accessibile solo alle coppie etero”.

Questa storia comincia nel 2016, quando Denise partorisce ma Giulia, nonostante avessero avuto il bimbo dopo il matrimonio, al tempo era considerata una madre “fantasma” e il figlio, visto che Denise è statunitense, non aveva riconosciuta neanche la cittadinanza italiana nonostante fosse nato, e poi cresciuto, nel nostro Paese. Le due donne avevano chiesto che nell’atto di nascita fosse dato atto che il bambino era stato procreato con la Pma di tipo eterologo con il consenso di Giulia e che dunque entrambe le donne fossero riconosciute come genitrici. L’ufficiale di stato civile però si era rifiutato appellandosi a un articolo del codice civile che fa riferimento a genitori di sesso diverso.

Per questo motivo la coppia decide di presentare un ricorso al Tribunale di Pisa chiedendo di accertare l’illegittimità del provvedimento. Il tribunale sottopone il caso alla Consulta nel 2018, ma la Corte Costituzionale nel 2019 lo dichiara inammissibile. La palla torna quindi al Tribunale di Pisa che respinge il ricorso nel 2021. Giulia e Denise si rivolgono quindi alla Corte d’appello di Firenze, che nel 2022 accoglie la loro istanza. Nel settembre dello stesso anno però il Viminale fa ricorso e arriva la sconfitta in Corte di Cassazione nel gennaio 2024.

“Con un verdetto singolare – spiega il legale della coppia Alexander Schuster – che non sconfessa la sentenza d’appello e non mette in discussione quindi il riconoscimento di entrambe le madri del bimbo, ma sottolinea solo l’impossibilità di ottenere un atto di nascita, o certificati simili, che riconosca ufficialmente la genitorialità di entrambe”. Fortunatamente nel frattempo la Consulta si pronuncia favorevolmente su un caso analogo di una coppia di donne sposate di Lucca e ora entrambe le madri hanno riconosciuti i propri diritti e doveri di genitore. Una gioia immensa per Giulia e Denise dopo nove lunghi anni, macchiata però da questa parcella abnorme e anche inusuale.

“L’entità delle spese processuali – prosegue Schuster – è legata ad alcuni parametri ministeriali, ma i giudici hanno ampio margine per stabilire la cifra da pagare. Di norma l’importo è molto più basso e non è ben chiaro perché quando il ministero perde la tendenza dei giudici è quella di compensare le spese fra le parti e quando vince invece le spese vengono addebitate tutte alla controparte. Ora, grazie alla sentenza della Consulta, in teoria l’Avvocatura dello Stato potrebbe anche rinunciare al risarcimento delle spese processuali, solo in teoria però”.

Oltre all’importo, il legale è preoccupato anche per le modalità di pagamento. “Ho mandato due pec e una mail all’ufficio dell’Avvocatura dello Stato responsabile del recupero della somma per capire se è possibile effettuare un pagamento rateizzato, ma non ho ottenuto risposta. La mia paura, visto che il termine per saldare il conto è scaduto a luglio, è che potrebbe essere stata avviata qualche procedura di pignoramento, sarebbe il colmo”. Il Fatto Quotidiano ha chiesto all’Avvocatura dello Stato una replica, ma non ha ottenuto alcuna risposta.

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