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Rendimento dei titoli trentennali Usa al 5% e oro al massimo storico: cresce la tensione sui mercati globali

Timori sulla sostenibilità del debito globale. A partire da quello Usa, messo sotto stress dal maxi-piano di spesa previsto dal Big, Beautiful Bill di Donald Trump. Pesano gli attacchi all'indipendenza della Fed
Rendimento dei titoli trentennali Usa al 5% e oro al massimo storico: cresce la tensione sui mercati globali
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Nuova fiammata di tensione sui mercati obbligazionari internazionali. I rendimenti dei Treasury americani a 30 anni sono tornati al livello di guardia del 5% per la prima volta dalla scorsa estate alimentando i timori sulla sostenibilità del debito globale e trascinando al ribasso Borse e bond in Europa e in Asia. Solo nel finale le attese di un possibile taglio dei tassi da parte della Federal Reserve hanno frenato la corsa. Intanto cresce la domanda di beni rifugio: l’oro sfiora i 3.600 dollari l’oncia, nuovo massimo storico, mentre l’argento torna sopra i 40 dollari, soglia che non si vedeva dal 2011.

Il movimento riflette l’aumento dei deficit pubblici e la crescita delle esigenze di finanziamento dei governi. Il Treasury con scadenza 15 agosto 2055 ha toccato un rendimento intraday del 4,999% per poi stabilizzarsi al 4,96%, in rialzo di due punti base. È salito anche il decennale, al 4,289%. La pressione si concentra sulle scadenze più lunghe, che aggiornano i massimi non solo negli Stati Uniti ma anche in Giappone e in Gran Bretagna. Segno di una forte preoccupazione sulle prospettive di lungo periodo dei debiti pubblici. A partire da quello Usa, messo sotto stress dal maxi-piano di spesa previsto dal Big, Beautiful Bill di Donald Trump. L’idea di finanziare il nuovo deficit con i dazi commerciali convince poco investitori e analisti.

Il clima è reso ancora più incerto dal processo di selezione del prossimo presidente della Federal Reserve, su cui il segretario al Tesoro Scott Bessent avvierà i colloqui a partire da venerdì. Secondo il Wall Street Journal, una rosa di undici candidati sarà sottoposta a Trump. Tra i favoriti figura l’attuale governatore Christopher Waller, che si dice pronto a sostenere una serie di tagli dei tassi già da settembre, portando il costo del denaro dall’attuale 4,25-4,50% a un livello “neutrale”. Una prospettiva che divide: con l’inflazione ancora al 2,7% a luglio, ben oltre il target del 2%, in molti giudicano prematuro allentare la politica monetaria.

L’eventualità di una Fed troppo allineata alla Casa Bianca preoccupa non solo gli operatori. Dopo il licenziamento – ora contestato in tribunale – della governatrice Lisa Cook, la presidente della Bce Christine Lagarde ha parlato di un “grave pericolo”, mentre il governatore della Bank of England Andrew Bailey si è detto “molto preoccupato”. Adam Posen, presidente del Peterson Institute for International Economics, ha parlato di un “cambio di regime permanente”: a suo avviso, l’attacco alla Fed punta a ridurre la vigilanza sui mercati, affiancandosi al progetto della Casa Bianca di legare i Treasury alle stablecoin, le criptovalute ancorate a valute fiat come il dollaro. L’idea della Casa Bianca è incentivare l’emissione e l’uso di questi strumenti, che per garantire la loro stabilità devono essere coperti da riserve di asset sicuri, a partire proprio dai Treasury americani. In questo modo, secondo i consiglieri economici, il boom delle stablecoin potrebbe creare una nuova domanda strutturale per i titoli di Stato, aiutando a finanziare il crescente deficit pubblico.

Ma diversi analisti avvertono che si tratta di un’arma a doppio taglio. Da un lato, le stablecoin potrebbero effettivamente ampliare la base di investitori in Treasury, soprattutto nei mercati emergenti e tra gli operatori digitali. Dall’altro, vincolare la credibilità del debito Usa a strumenti privati e scarsamente regolati aumenta i rischi sistemici. La stessa Federal Reserve, in passato, aveva messo in guardia sul pericolo che le stablecoin possano trasformarsi in “simil banche ombra”: un settore che, in caso di turbolenze, avrebbe bisogno di salvataggi pubblici, scaricando di nuovo i rischi sul contribuente.

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