Dalle macerie alle catene di montaggio. Il futuro elettrico di Gaza secondo Trump
Mentre continua il genocidio della popolazione civile palestinese in barba al diritto internazionale, emergono nuovi dettagli su quello che potrebbe essere il futuro della ricostruzione di Gaza, delineato dall’amministrazione Trump. Un futuro in cui potrebbe giocare un ruolo importante anche l’automotive.
Infatti, nel piano “Great” (Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation) ci sarebbe spazio pure per un polo dedicato alla costruzione di automobili elettriche, in cui sarebbero coinvolte “aziende americane di veicoli elettrici” chiamate a costruire “fabbriche e strutture per i dipendenti nel nord di Gaza e nel sud di Israele”. Il pensiero va subito a Tesla, Ford e GM, i colossi dell’auto made in USA.
Come riporta Quattroruote, la strategia industriale sarebbe già teoricamente definita: minerali e materiali indispensabili per la produzione di batteria arriverebbero da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Mentre nel polo automotive di Gaza verrebbe effettuato l’assemblaggio da parte di personale qualificato ma a basso costo; un po’ come avviene già in Paesi come Romania, Serbia e Polonia, diventati da lungo tempo “asset” indispensabili per la salute dei bilanci delle multinazionali occidentali dell’automobile.
Le fabbriche della Striscia sarebbero alimentate da gas estratto direttamente a Gaza, su cui Israele ha puntato la sua attenzione già da diversi anni, e da energia rinnovabile. Un piano tanto macabro, congeniato sulla pelle dei palestinesi, quanto strategicamente fine: le autovetture fatte a Gaza sarebbero esportate in Europa tramite il porto di El-Arish e con tasse doganali pari a zero perché spedite in una zona di libero scambio.
Ne consegue che questi veicoli elettrici – considerati pure i bassi costi di trasporto, vista la vicinanza con l’Europa – avrebbero prezzi competitivi e potrebbero fare concorrenza alle automobili fatte in Cina, con cui gli Stati Uniti si stanno giocando una delicata partita per l’egemonia economica mondiale.
“Le Bev assemblate a Gaza avrebbero listini inferiori rispetto a quelle esportate dal Dragone in Europa, soggette agli extra dazi imposti da Bruxelles alle elettriche made in China”, sottolinea Quattroruote. Al limite del grottesco, vista la devastazione umana e territoriale, le conclusioni del piano Great, secondo cui si “realizzerebbero profitti, offrendo al contempo un futuro migliore a palestinesi e israeliani”. Ai palestinesi ancora abili al lavoro ed eventualmente sopravvissuti, s’intende.