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La diagnosi oncologica è uno shock emotivo: serve un approccio globale per affrontare la fragilità

La fragilità oncologica non è solo una condizione clinica, ma un’esperienza umana complessa
La diagnosi oncologica è uno shock emotivo: serve un approccio globale per affrontare la fragilità
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Dopo la diagnosi di tumore della mammella, e lo stesso vale per ogni malattia neoplastica, il sentiero da intraprendere è spesso lungo e tortuoso e necessita il reclutamento di un armamentario ben fornito di virtù: resilienza, coraggio, caparbietà, e così potrei continuare per molto ancora, non solo da parte della paziente, ma di tutte le persone che la circondano.

Vi sarà capitato sicuramente di ascoltare le parole di qualche esperto o carpire dalla lettura di qualche articolo che il paziente oncologico è un paziente fragile. La fragilità oncologica non riguarda soltanto il corpo del paziente, ma investe l’intera dimensione della sua esistenza. La malattia oncologica rappresenta infatti una frattura improvvisa nella continuità della vita: ciò che era noto e familiare diventa incerto, e ogni gesto quotidiano viene filtrato attraverso la consapevolezza della malattia.

Dal punto di vista fisico, la fragilità si manifesta nella vulnerabilità del corpo, sottoposto agli effetti della malattia e delle terapie: stanchezza, perdita di forze, alterazioni dell’immagine corporea. Esiste poi una fragilità relazionale: la malattia modifica i ruoli all’interno della famiglia, costringe a ridefinire le priorità, talvolta incrina la comunicazione con i propri cari.

Tuttavia, la fragilità oncologica è anche emotiva e psicologica. Il paziente vive spesso sentimenti di paura, ansia, senso di precarietà, fino al rischio di isolamento sociale. A corollario di quanto appena detto, in un interessante articolo, l’Airc sottolinea argomenti a cui ancora non si dà la giusta risonanza, stati d’animo che gravitano intorno alle pressioni psicologiche che il paziente subisce e affronta, concetti come l’ansia del futuro, la paura di una recidiva tumorale, conosciuta anche con l’acronimo inglese FCR (Fear of Cancer Recurrence), è una delle esperienze emotive più comuni tra le persone che hanno affrontato una diagnosi di cancro.

Anche dopo la fine dei trattamenti, quando i controlli clinici risultano nella norma, questa paura può restare presente in maniera persistente, influenzando la qualità della vita del paziente e dei suoi cari. Con il termine scanxiety invece si indica lo stato di ansia e tensione che molte persone sperimentano in attesa di sottoporsi a esami diagnostici, come Tac, risonanze magnetiche o Pet, e soprattutto durante l’attesa dei risultati, condizione comune nei pazienti oncologici, per i quali ogni controllo rappresenta un momento cruciale: la possibilità di ricevere buone notizie si accompagna infatti al timore di una recidiva o di un peggioramento.

Un apostrofo rosa però esiste ed è la manifestazione della “Crescita post-traumatica”, un’accezione positiva che fiorisce dalla grinta nel combattere la malattia, dopo aver affrontato un evento traumatico o altamente stressante. Non significa che il dolore o la sofferenza vengano annullati, ma che dall’esperienza possano nascere nuove prospettive e risorse interiori. ‘L’esperienza della neoplasia mi ha dato molto di più di quello che mi ha tolto’, riferiscono alcuni pazienti.

Affrontare la fragilità oncologica significa prendersi cura non solo della malattia, ma dell’intera persona. Il percorso oncologico porta con sé momenti di debolezza fisica, emotiva e psicologica, che possono essere sostenuti con un approccio globale e multidimensionale. Il primo passo è sicuramente riconoscere la fragilità, senza negarla né viverla come una colpa. Dare un nome alle proprie paure e difficoltà aiuta a ridurre il senso di isolamento e a chiedere aiuto con maggiore consapevolezza.

Fondamentale è il supporto medico e riabilitativo, che accompagna il paziente nel recupero delle energie e nella gestione degli effetti collaterali delle terapie. Presso il Policlinico Tor Vergata, nel nostro team multidisciplinare che gravita intorno al paziente oncologico, figura tra i professionisti anche lo psicologo oncologo, una figura fondamentale specializzata nel trattamento di questi aspetti del lungo percorso terapeutico.

Non meno importante è la rete sociale e familiare: sentirsi ascoltati, compresi e accolti contribuisce a dare forza nei momenti di vulnerabilità. Anche i gruppi di supporto tra pazienti possono offrire un prezioso senso di appartenenza e condivisione.

La diagnosi oncologica rappresenta uno shock emotivo. Ansia, depressione e paura del futuro sono reazioni comuni che possono minare la motivazione, la capacità di affrontare i trattamenti o la fiducia nelle parole del medico. La fragilità oncologica non è solo una condizione clinica, ma un’esperienza umana complessa. Accoglierla e prendersene cura significa accompagnare il paziente in un percorso di trattamento multi-specialistico più rispettoso, empatico e centrato sulla persona.

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