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L’ombra lunga delle stamperie tossiche: una sentenza su Palazzo Chigi dà speranza ad altre vittime senza giustizia

Dopo la storica sentenza che ha riconosciuto la causa di servizio a un dipendente di Chigi, la famiglia Morrone rilancia il caso del padre, esposto per 13 anni a solventi cancerogeni alla Corte Costituzionale
L’ombra lunga delle stamperie tossiche: una sentenza su Palazzo Chigi dà speranza ad altre vittime senza giustizia
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Per 13 anni aveva respirato fumi tossici dei solventi usati per pulire le macchine che stampavano le leggi destinate ai giudici della Consulta. Anziché giustizia, i suoi parenti hanno trovato il muro dell’autodichia, che consente agli organi costituzionali di giudicare di se stessi al posto del giudice ordinario. Una vicenda raccontata dal Fatto nel 2016 che, dopo tre decenni di battaglie legali – alla luce di un recente e significativo precedente giurisprudenziale – potrebbe finalmente trovare una forma di “verità e giustizia”.

Antonio Morrone, operatore di stamperia alla Corte Costituzionale dal 1976 al 1989, morì a 53 anni per cancro del sigma con carcinosi peritoneale. Ogni giorno lavorava in locali senza aerazione, tra inchiostri e solventi tossici – benzolo, cloroformio, fenolo – oltre a radiazioni ionizzanti ed esalazioni di acidi nocivi. Puliva macchine tipografiche, impaginatrici ed eliografiche con prodotti chimici tossici.

L’amministrazione sapeva: tanto da fornire quotidianamente latte al personale per attenuare gli effetti dei veleni, pratica prevista per legge. Un dettaglio che oggi suona come tacita ammissione della pericolosità di quegli ambienti. Nel febbraio 1990 la vedova, Apollonia Isotta, presentò un’istanza per il riconoscimento della causa di servizio, ma la richiesta non ebbe mai esito.

Dopo 36 anni, una sentenza “storica” del Consiglio di Stato riaccende la speranza. Il 31 luglio 2025 i giudici di Palazzo Spada hanno riconosciuto la causa di servizio a un dipendente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, impiegato dal 1992 al 2013 in ambienti sotterranei privi di aerazione o filtraggio. Prima falegname, poi addetto all’impianto di incenerimento della carta, era stato esposto a polveri di legno, vernici, benzene, diossina, formaldeide. Colpito da “leucemia a cellule capellute”, si era visto respingere la domanda dal Tar Lazio.

Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza, rilevando carenze istruttorie e una valutazione scientifica inadeguata dell’esposizione tossica. Ha definito generica e superficiale la motivazione del diniego e ribadito che l’onere di dimostrare l’adozione delle misure di sicurezza spetta al datore di lavoro. Una decisione che, per la prima volta, ha tutelato la salute di un dipendente con incarichi speciali a Palazzo Chigi, aprendo la strada ad altri casi.

“Ci sono presupposti analoghi nella vicenda di nostro padre” sostengono i figli di Morrone – Lorenzo, Walter, Ivano e Antonella – che vedono nella sentenza un precedente diretto. La patologia oncologica del padre, dicono, è compatibile con l’esposizione a sostanze tossiche nella stamperia della Corte Costituzionale.

Per questo hanno inviato alla Consulta una formale istanza di riesame integrale della vicenda lavorativa e sanitaria, chiedendo di valutare il riconoscimento della causa di servizio. Non è solo una questione di risarcimento: “È la restituzione di una verità e giustizia in nome dei valori costituzionali che nostro padre ha servito con silenzioso impegno”.

L’appello è alla Corte Costituzionale, ma anche al Parlamento e alla Presidenza della Repubblica, perché “equità, trasparenza e solidarietà istituzionale” non restino parole vuote. Una richiesta che vuole aprire una breccia nel muro dell’autodichia e ribadire che la tutela della salute vale per tutti, anche per chi ha lavorato nell’ombra, stampando le leggi del Paese.

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