Tecnologia

Come usano l’intelligenza artificiale gli italiani? La ricerca per comprenderlo: “Può essere un nuovo digital divide”

Un questionario della community Rita, che invita a compilarlo, indaga sull'uso di ChatGPT, Gemini e così via in Italia e il gap tecnologico che sta creando

Qual è l’uso reale dell’intelligenza artificiale da parte degli italiani? Insomma, cosa chiedete a ChatGPT, Gemini e così via? E, soprattutto, si sta creando un nuovo digital divide con l’avvento dell’IA? Se lo sono chiesto i ricercatori e le ricercatrici della community online Rita – Risorse per la lingua italiana. Sono circa 150, arrivano dall’università Bocconi e dalla Fondazione Bruno Kessler, altri vivono in giro per l’Europa, dall’Olanda alla Germania fino al Portogallo.

Lavorano tutti con i modelli linguistici e sono sempre a caccia di proposte. Così è nato l’ultimo fronte sull’uso dell’intelligenza artificiale: come la usano gli italiani? Un semplice questionario che si può fare qui, per comprendere qual è il vero approccio ai chatbot. “Vogliamo capire, per esempio, se c’è chi ha sostituito Google Translate con ChatGPT. E ci siamo già accorti che molti chiedono itinerari di viaggio all’intelligenza artificiale affidandogli il ruolo di travel planner”, spiega Giuseppe Attanasio, postdoc presso l’Instituto de Telecomunicações di Lisbona e membro della community Rita.

“Un’altra domanda che ci siamo posti è se le persone sono coscienti di come sono pensati questi strumenti. Molti non sanno che ChatGPT usa tono amichevole appositamente per ispirare fiducia, quindi difficilmente si è portati a fare un check delle risposte e le si danno per buone”, aggiunge Attanasio. La conoscenza dello strumento è importante anche perché, dice ancora il ricercatore, “si parla tanto di digital divide, ma all’interno del fenomeno non viene considerata l’intelligenza artificiale che oggi è invece una variabile da considerare quando si affronta il tema dell’uso delle tecnologie”.

Come si risolve questo problema? La community Rita ha uno schema in testa: “È possibile chiudere il gap solo con iniziative educative già nelle scuole”. Già chi ha risposto al sondaggio mostra per sommi capi il gap. Le ricercatrici e i ricercatori hanno infatti notato due carenze di copertura: poche risposte sono arrivate dal Sud e dalle Isole e non c’è omogeneità sull’istruzione, con una preponderanza di laureati. Dal questionario, preannuncia Attanasio, vedrà la luce uno studio e un articolo scientifico ma il proposito più profondo è quello di entrare in contatto con associazioni ed enti per portare avanti l’idea delle iniziative educative per un uso più consapevole dell’intelligenza artificiale.