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“Bisogna riconoscere pubblicamente il genocidio a Gaza”: la lettera su Lancet

Il testo, sottoscritto da oltre 3300 accademici, sottolinea che "dal 7 ottobre 2023 Gaza ha registrato il più alto numero di decessi tra bambini di qualunque altra zona di guerra". Tra i firmatari anche Tomaso Montanari, collaboratore del Fatto
“Bisogna riconoscere pubblicamente il genocidio a Gaza”: la lettera su Lancet
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A Gaza “l’aspettativa di vita è scesa di circa 35 anni nel 2024. Ciò rappresenta una riduzione più grande di quella osservata durante il genocidio in Rwanda. Dal 7 ottobre 2023 Gaza ha registrato il più alto numero di decessi tra bambini di qualunque altra zona di guerra”. Osservazioni firmate da oltre 3.300 accademici, professionisti della salute – molti dei quali italiani – che in una lettera aperta pubblicata nei giorni scorsi e rilanciata su The Lancet esortano le associazioni professionali e accademiche attive nell’ambito della salute a “riconoscere pubblicamente il genocidio a Gaza”. Promotori della lettera Roberto De Vogli, Professore Università di Padova e blogger de ilfattoquotidiano.it e Jonathan Montomoli, medico anestesista dell’Ospedale di Rimini, e tra i firmatari anche il rettore dell’Università per stranieri di Siena e collaboratore del Fatto Quotidiano Tomaso Montanari e la sociologa Donatella Della Porta della Normale di Pisa.

Inoltre, prosegue la lettera, nella Striscia è stato registrato “il più alto numero di incidenti a lavoratori della salute (1.400 morti), decessi di operatori dell’Onu (295), giornalisti (212 morti) rispetto a qualunque recente zona di guerra”. Di fronte a questi numeri, continuano, “la maggior parte delle associazioni nel campo della salute pubblica, mediche e delle scienze sociali sono rimaste in silenzio o hanno rilasciato dichiarazioni vaghe – una risposta che contrasta con il rapido e incisivo supporto ad altri conflitti come quello in Ucraina”.

Per gli estensori del documento, “il genocidio a Gaza è un test etico determinante per la comunità sanitaria pubblica globale, gli scienziati sociali e le associazioni accademiche. Il silenzio non è un’opzione”, proseguono. “Come studiosi e professionisti della salute affrontiamo una dura scelta: o sosteniamo la nostra responsabilità etica collettiva e prendiamo posizione per prevenire ulteriori violenze di massa e fame, o saremo ricordati per il nostro silenzio selettivo e l’inazione durante una delle più urgenti crisi morali e di salute pubblica del nostro tempo”, concludono.

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