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Ha ragione lo scrittore Cesaro a denunciare l’ipocrisia dell’editoria italiana. E infatti c’è chi fa da solo

Ho letto il lungo sfogo di Giuseppe Cesaro, scrittore per La Nave di Teseo, e gli riconosco un merito raro e coraggioso
Ha ragione lo scrittore Cesaro a denunciare l’ipocrisia dell’editoria italiana. E infatti c’è chi fa da solo
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Ho letto il lungo sfogo di Giuseppe Cesaro, scrittore per La Nave di Teseo, e gli riconosco un merito raro e coraggioso: aver smascherato l’ipocrisia profonda che ancora oggi permea gran parte dell’editoria italiana. In un mondo dove il numero di copie vendute sembra contare più del valore letterario, l’autore ci ha ricordato che scrivere è, celinianamente ancora, prima di tutto, un atto di verità. Nascosta.

Nel panorama attuale, vengono privilegiati testi associati a volti noti, spesso provenienti dalla televisione o dal mondo dello spettacolo. Libri confezionati più come prodotti commerciali che come opere dell’ingegno. Il nome sull’etichetta, più che il contenuto, è ciò che guida le classifiche di vendita. In questo contesto, la decisione di Cesaro di “fare un passo indietro” – tornando al ruolo di ghost writer – assume un significato quasi dostoevskiano: un ritorno volontario nel sottosuolo della scrittura. Il luogo oscuro e anonimo dove le parole contano davvero, e dove l’ego dell’autore lascia spazio alla potenza della lingua.

Ragionando con Lacan, che soleva dire “io non cerco, ma trovo” mi sono imbattuto in un libro semiclandestino, senza promozione se non quella dell’autore su Facebook, Preghiere per chi non prega mai’. Un testo che indaga l’animo umano e dimostra la verità denudata da Cesaro.

L’autore, Fabio Cavallari, ha deciso di fare tutto da solo. Nessun editore, nessun ufficio stampa. Ha scelto la sottrazione. E ha vinto. Ha iniziato con pochi post, e gli utenti hanno cominciato a inviargli le loro storie. Ma lui non ha dato voce: ha dato corpo. Ogni storia è diventata un gesto. Non un contenuto da spiegare, ma un sintomo da abitare. In “Mister X” il soggetto dice: «Io esisto. Anche se non grido. Anche se non credo». È la formulazione nuda del desiderio come resto. In “La leggerezza che pesa” il corpo anoressico non parla di cibo, ma del bisogno di non chiedere. Il bisogno stesso è il trauma. In “Una sedia in più”, la colpa immotivata è il marchio del desiderio dell’Altro. In “Maneggiami con cura”, il trauma non si racconta: si incarna nella sintassi.

Cavallari non cura, non consola. Non interpreta. Fa esistere. E per un analista, questo basta. Perché là dove il senso manca, la scrittura tiene. E ciò che tiene, apre un’altra scena.

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