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Il fattore umano dei piloti: l’unico che un aereo non può controllare. Iniziamo a parlare di Ai per i voli

Se davvero il Comandante ha deciso di chiudere i manettini del carburante per un proposito suicida, ha realizzato il peggior incubo che ciascuno di noi tenta di esorcizzare
Il fattore umano dei piloti: l’unico che un aereo non può controllare. Iniziamo a parlare di Ai per i voli
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Il profluvio di ipotesi sull’incidente dell’Air India 171 precedente alla pubblicazione del Preliminary Report si è principalmente concentrato sulla possibilità di una avaria nei sofisticati software di controllo dei sistemi di bordo del Boeing 787, principalmente il FADEC che gestisce i motori ed è integrato in un sistema ancora più ampio che dovrebbe garantire la più totale sicurezza del volo. Quello che non era chiaro prima del Preliminary Report era se dopo il decollo vi era stata una perdita di portanza o di potenza o…. entrambe?

La possibilità di una doppia piantata di motore al decollo causata da problemi meccanici catastrofici e di circa 1 su due e passa miliardi quindi io presi la strada dell’errore umano, ovvero l’involontaria retrazione dei flaps invece che del carrello: una possibilità remota ma pur sempre nel novero dell’ “human error” che purtroppo ha storicamente un suo peso negli incidenti in aviazione.

Un paragrafo del Preliminary Report illumina uno scenario infinitamente peggiore: “The aircraft air/ground sensors transitioned to air mode, consistent with liftoff at 08:08:39 UTC….immediately thereafter, the Engine 1 and Engine 2 fuel cutoff switches transitioned from RUN to CUTOFF position one after another with a time gap of 01 sec. The Engine N1 and N2 began to decrease from their take-off values as the fuel supply to the engines was cut off. In the cockpit voice recording, one of the pilots is heard asking the other why did he cutoff. The other pilot responded that he did not do so.”

Al di là di qualsiasi considerazione tecnica (come quelI’avviso della Boeing di un possibile difetto degli dei Fuel Cutoff Switch), il dialogo tra i piloti del Boeing 787 di Air India precipitato ad Ahmedabad il 12 giugno scorso rischia di passare alla storia dei disastri aerei come una delle pagine più tragiche e al tempo stesso più angoscianti di sempre. Ancora non ne abbiamo la certezza ma, se davvero il Comandante Sabharwal ha deciso di chiudere i manettini del carburante per dare seguito a un proposito suicida, ha realizzato il peggior incubo che ciascuno di noi tenta di esorcizzare: ogni qualvolta mettiamo la nostra vita nelle mani di qualcuno che – nell’interazione uomo-macchina – ha in mano i comandi, siano essi un volante, un timone o una cloche, compiamo un vero atto di fede.

In quel momento ci affidiamo a qualcuno che non conosciamo ma di cui dobbiamo fidarci: che sia l’autista di una corriera che percorre i viadotti di un’autostrada, o il pilota di un aereo, dobbiamo confidare sulle sue capacità e sul suo equilibro per un tempo in cui siamo tagliati fuori da ogni possibilità di intervento e di controllo. È la stessa situazione che si crea quando ci sottoponiamo a un’operazione chirurgica: siamo completamente nelle mani di qualcun altro. Quindi il punto è: chi è questo qualcun altro a cui ci consegniamo?

Ho affrontato questo tema in un precedente articolo sull’incidente di GermanWings e la risposta è semplice: è un essere umano, uno come noi, e quindi con tutte le caratteristiche che conosciamo o che possiamo supporre ma, soprattutto, con un dato estremamente “umano”, non è perfetto. Non è immune da tutto quanto lo rende simile a noi. Sicuramente ha doti e capacità che lo rendono particolarmente adatto al compito che svolge, presumiamo che abbia superato test, esami e ogni possibile verifica, ma alla fin fine è (e resta) un essere umano. Tra milioni di interventi chirurgici e milioni di voli che vanno a buon fine, ne basta uno “sbagliato” a scatenare dentro di noi angosce e domande su che cosa sia andato storto e perché.

È ovvio: quei timori che tentiamo di esorcizzare ogni volta, esplodono tutti insieme mandando in frantumi i concetti di buon senso che ci siamo ripetuti ogni volta che ci sembrava necessario. Quanti di noi si sono chiesti se i piloti di un volo da prendere sono stati esaminati, testati, verificati, così da poterli ritenere completamente affidabili?

Il caso del volo MH 370, tutt’ora irrisolto, rimane per me emblematico: l’ipotesi dell’atto volontario del Comandante Ahamad Shah è stata in mancanza di altre spiegazioni la più comoda ma, come ho cercato di spiegare in un altro post, probabilmente destituita da ogni fondamento. Certo è il fatto che se il mezzo aereo è e rimane quello in assoluto più sicuro vi sono elementi che sfuggono ad ogni controllo e il principale è la mente umana.

Io appartengo ad una generazione di piloti decisamente refrattaria ad affidare tutta o quasi la gestione del volo ai software dei computer ma per onestà intellettuale oggi devo andare oltre e chiedermi se lo sviluppo della tecnologia non possa ridurre ulteriormente i margini di errore incluso e soprattutto l’errore volontario dell’essere umano. Non sto affatto suggerendo di affidare all’AI (Intelligenza Artificiale) l’interazione uomo-macchina in questo campo: credo che niente possa sostituire due professionisti in cabina di pilotaggio.

Però sono sempre di più convinto che si possa pensare di utilizzare l’AI per intervenire nel caso di eventi come Air India, German Wings, MH 370: almeno iniziamo a parlarne.

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