Quella magia negli occhi degli adolescenti che si innamorano rischia di perdersi
“Mara, dormi?” domandò lui dopo molto tempo. Lei aveva quasi perduto la coscienza; ebbe un soprassalto; subito dopo lo abbracciò stretto. “Bube” gli disse; “Bube, amore mio”. E gli impresse le labbra sulla guancia, disperata. Lui non diceva nulla, e nemmeno la baciava, ma si stringeva a lei con tutta la forza, come se solo così gli fosse possibile sopportare la propria pena.
Mara e Arturo, detto Bube, sono due ragazzi, innamorati. Nelle fasi successive alla Liberazione, in Valdelsa. Ne La ragazza di Bube, del 1960, Carlo Cassola, racconta anche di un Amore, che fa crescere. Eliminando il superfluo, fino a far rimanere l’essenziale. Non dell’uno e dell’altra. Separatamente. Piuttosto, del loro essere un insieme.
“Nei brevi momenti trascorsi insieme abbiamo condiviso quello che molte persone sognano soltanto”, scrive in una lettera ad Adrienne alias Diane Lane, Paul alias Richard Gere. Prima del tragico epilogo, ma dopo essersi casualmente incontrati e poi separati, si scambiano delle lettere, i protagonisti di Come un uragano, il film del 2008 di George C Wolfe, tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks.
A scuole chiuse e campanelle che non suonano più, ripenso all’Amore. A quello che mi sembra vivano ragazze e ragazzi, ora. Anche per provare a capire se piuttosto non si tratti di amore. Perché non è questione soltanto di maiuscole. Oppure di minuscole. Ma di quanto si sente. Di quanto si dà. Di quanto ci si esponga.
E’ più che evidente che nella crescita personale fare in qualche modo i conti con i sentimenti sia necessario. Imprescindibile. E quale sentimento più che quello amoroso costituisce una sorta di summa di sentimenti? Sia di segno positivo che negativo. Per questo ragazze e ragazzi dovrebbero fare esperienza. Del sentimento, intendo. Sperimentandone anche le contraddittorietà. Le meraviglie che sembrerebbero far scomparire tutto il resto. Ma anche le delusioni che rischiano di spingere in un angolo.
Ho l’impressione che questa magia, che alle volte può trasformarsi in un maleficio, “tocchi” solo infrequentemente gli adolescenti. Soprattutto quelli che frequentano le medie. Ho l’impressione guardandoli negli occhi, in classe, certo, ma anche “fuori”, che la realtà poco li interessi. A dispetto del virtuale. Insomma molto meglio farsi una videochiamata su whatsapp che aspettarsi fuori scuola. Più sicuro scambiarsi qualche foto attraverso i social che una passeggiata e un gelato. Forse anche per questo spesso osservo sguardi “spenti”. Non completamente, s’intende. Di certo, non accesi. Forse anche per questo mi capita di rendermi conto che le individualità hanno la meglio sull’”insieme”. Forse anche per questo mi capita di osservare solitudini costruite su piccoli e grandi egoismi. Ma reiterati. Al punto da divenire inconsapevoli. Quanto questi atteggiamenti siano respingenti rispetto al sentimento amoroso è chiaro.
“Sentimento di viva affezione verso una persona che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia”. La definizione che il vocabolario della Lingua italiana della Treccani fornisce del sostantivo maschile “amore”, aiuta a capire, credo. Aiuta a capire perché l’Amore si sia trasformato in amore. Il desiderio di procurare il bene e di ricercare la compagnia della Persona amata! E’ questo il punto. Per amare, bisogna scendere dal piedistallo. Rinunciare alla parte di sé più esteriore per far emergere quella più intima. Con il proposito di offrirla all’altro. Con la felicità di averne l’occasione. D’altra parte, l’Amore è anche condivisione. Magari anche di sogni. Bolle di sapone che non si alzeranno mai, ma che l’Amore è convinto raggiungano le altezze dei cieli.
La questione cruciale non è come andrà a finire. Se “alla fine vivranno felici e contenti, per sempre”. Oppure ci si lascerà. Per gli adolescenti a contare è il passaggio, credo. Le emozioni che le esperienze provocano. Perché l’Amore è questo. Emozioni, indubitabilmente. Ed anche pazienza. Intesa come attesa. Come tentativo di venire incontro all’altro. Insomma mettendo da parte l’ “io sono fatto così”. La pazienza aiuta. Ed insegna. “Per tutta la vita”, disse. Florentino Ariza aveva la risposta pronta da cinquantatrè anni sette mesi e undici giorni, notti comprese”. L’Amore per il protagonista de L’Amore al tempo del colera, di Marquez, è una attesa lunghissima. E senza certezze. Un’attesa che rende vivibile la sua esistenza.
Ci sono e ci saranno un’infinità di Storie d’amore. Molte di meno quelle d’Amore.