“Parlare di corpi trans felici è un atto politico”: la storia d’amore queer di Silvia e Samuele in “Un fantastico altrove”
Silvia e Samuele sono cresciuti insieme. Si sono conosciuti da piccoli, nel 2000. Abitavano non solo nella stessa via, ma addirittura nello stesso condominio a Verbania. Le strade si sono poi divise, anche se mai separate del tutto: lei è andata a studiare cinema a Roma, lui è rimasto nella provincia piemontese, fino a quando nel 2020 si sono rivisti e non si sono più lasciati. La loro storia confluisce ora in “Un fantastico altrove” (Lyricalmyrical Books), primo libro della sceneggiatrice e regista Silvia Clo Di Gregorio. Un libro fotografico che attraversa Stati e continenti ma che al tempo stesso traccia i confini di uno spazio emotivo, intimo e personale raccontando la storia d’amore tra l’autrice, persona non binaria e pansessuale, e Samuele Galli, ragazzo trans. “Avevo voglia di reinventare un luogo inclusivo, queer” spiega Di Gregorio nel presentare il progetto a Ilfattoquotidiano.it, “e, di riflesso, anche politico”.
In che senso politico?
Intanto siamo entrambi attivisti, e poi perché parlare di corpi trans e non binari, di una storia d’amore felice e di euforia di genere – mentre spesso si parla di disforia – porta alla luce un punto di vista diverso.
Quali sono le barriere che la vostra storia ha infranto?
Di solito la maggioranza delle rappresentazioni dei corpi trans è sempre legata alla transizione, a volte con punti di vista stereotipati. Abbandonare questa narrazione e offrirne una diversa penso sia coraggioso, tanto più che per corpi binari non c’è ancora una rappresentazione. Quando si pensa a una coppia, la prima cosa che viene in mente è che sia etero e cisgender, perché da sempre è stato assunto che noi altri fossimo quasi contro natura. In realtà non è così. Il punto centrale è far capire la complessità delle persone, e andare a fondo nei loro sentimenti. È un punto di vista difficile, lo so, ma se sono riuscita a spiegarlo ai miei genitori che hanno 60 anni e ora usano lo schwa, allora si può spiegare a tutti.
Ha conosciuto il suo compagno prima che intraprendesse il percorso?
Sì, all’interno del libro ci sono anche le cartoline che gli inviavo con tanto di dead name (il nome di battesimo nel quale la persona transgender non si riconosce più, ndr). Era l’amichetta di infanzia. Quel che è successo dopo non mi è sembrato strano, perché già ai tempi Samuele aveva espresso questo desiderio. Se conosci a fondo una persona e ti spiega quello che sente, riesci a comprenderla.
Come avete vissuto il vostro essere queer in un contesto di provincia?
Samuele ci è arrivato molto prima di me, io sono una “tardona” da questo punto di vista. Quando sei una persona non binaria la difficoltà sta proprio nel non vedere rappresentata la tua condizione, e la provincia di certo non aiuta. Anzi, cerchi di adattarti e di stare bene nella tua cerchia per non correre il rischio di sentirti solo e non essere capito. ‘Sam’ è stato il primo ragazzo trans di Verbania e ha partecipato come speaker al TedX parlando della propria esperienza. Tante ragazze e ragazzi sono poi andati a chiedergli informazioni perché qui nessuno fa un lavoro di divulgazione su tali tematiche.
Ha aperto una strada con la sua testimonianza?
Continuare a battere il ferro aiuta molto, così come aiutano tanto il Pride (Di Gregorio è nel team che il 6 settembre terrà a battesimo il VCO Pride, ndr), tutte le rappresentazioni pubbliche e progetti come “Love Club”, la serie queer di Amazon Prime che ho co-scritto. Tutte le storie raccontate in maniera autentica avvicinano lo spettatore.
A tal proposito, è in cantiere una nuova stagione della serie?
Purtroppo per una questione di algoritmi non è stata rinnovata, ma spero che “Love Club” sia l’inizio di tante altre narrazioni autentiche: che soggetti trans vengano rappresentati da persone trans, che non si debba fare blackface come è successo in tv. Insomma, che si inizi a rispettare e capire l’importanza delle minoranze.
Lei e il suo compagno in che cosa state trovando il vostro “fantastico altrove”?
Lo troviamo tutti i giorni nella famiglia che abbiamo e in quella che ognuno può scegliere per sé. In questo momento il nostro altrove si sta collocando anche in Canada, dove proporremo il libro perché l’editore è italo-canadese e il progetto è bilingue in quanto volevamo che fosse inclusivo.
Che cosa vi aspettate dalle presentazioni canadesi in programma a settembre?
Secondo me la nostra storia lì sarà molto meno dirompente. Verrà vista come una storia personale, ma non tale da “strappare un cerotto”. E anche questo è bello.