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L’Invalsi scopre l’acqua calda: la colpa del disastro è la scarsa integrazione degli studenti migranti

Invalsi sembra dire: la scuola va male a causa dei migranti. Forse meglio affermare: la scuola italiana non ha ancora le competenze per accoglierli
L’Invalsi scopre l’acqua calda: la colpa del disastro è la scarsa integrazione degli studenti migranti
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Il divario tra Nord e Sud aumenta, le competenze degli allievi che passano dalle medie alle superiori diminuiscono, ma “finalmente” l’Invalsi ha trovato il “colpevole” del disastro della scuola italiana: la mancata integrazione degli studenti migranti. Ci voleva un governo di destra con un ministro dell’Istruzione e del Merito leghista per far sì che il presidente Roberto Ricci & company dichiarassero senza problemi che “necessariamente la frequenza di allievi e allieve che prima abbandonavano la scuola rende la popolazione generale più complessa e con più allievi/e con livelli di apprendimento più bassi. Di conseguenza si ha un effetto sugli esiti medi che tendono a contrarsi nel tempo”.

Aggiunge Invalsi: “L’ effetto è chiaramente visibile già a sette-otto anni, dove la presenza di alunni con provenienze molto diverse conseguono risultati molto eterogenei tra di loro”.

Per la prima volta l’Invalsi non misura solo la febbre – come ha sempre detto – ma azzarda una diagnosi e persino una cura: “La sfida è quella di adottare strategie che consentano di accogliere una quota di coloro che prima abbandonavano la scuola e che ora la frequentano senza che questo si rifletta sui risultati degli altri studenti/delle altre studentesse”.

Attenzione. Invalsi sembra dire: la scuola va male a causa della presenza dei migranti. Forse meglio affermare: la scuola italiana non ha ancora le competenze per accogliere la popolazione migrante. Ricci & company, infatti, scoprono l’acqua calda e ce la vendono pure come a Napoli fanno per l’aria in bottiglia. Chi fa l’insegnante sa bene che da anni è così: le ore di alfabetizzazione primaria sono insufficienti; mancano mediatori linguistici e culturali; sono sparite da anni le compresenze; non c’è formazione sul tema. Il tutto spesso si risolve con una bella “carta” da mettere nel cassetto perché tutti abbiano l’anima in pace: un bel pdp, un piano didattico personalizzato.

Ciò che dice Invalsi sulla complessità della popolazione è vero: può accadere di dover fare lezione ad un gruppo di autoctoni con problemi vari (Bes, Dsa); a un indiano che a metà anno si assenta per un paio di mesi per tornare “a casa”; a un tunisino da poco arrivato in Italia; a una cinese in Italia dalla nascita ma che parla meglio la sua lingua che la nostra; a un marocchino che sa l’italiano meglio degli alunni italiani; a un rom che è migrato dalla Germania all’Italia.

Come si fa? Si fa quel che si può, questa è la verità che dobbiamo ammettere. Anni fa mi arrivò in classe quinta un ragazzino afgano di dieci anni arrivato nell’epoca in cui fuggivano per l’arrivo dei talebani. Non sapeva una sola parola di italiano. Chiesi un mediatore linguistico per lui. Nulla. Mi procurai, allora, una ragazza che veniva in forma volontaria a scuola per aiutarlo a comprendere meglio le lezioni.

L’Invalsi lo scopre ora, ma dobbiamo dircelo con franchezza: l’integrazione nel nostro sistema scolastico dei ragazzi migranti è scarsa e a pagarne le conseguenze spesso non sono solo gli studenti che arrivano da altri Paesi, ma gli italiani. Dimostrazione di questo è la bocciatura alla maturità del ragazzo pakistano: quel giovane è arrivato in Italia cinque anni fa, ha seguito i corsi per i cosiddetti nuovi arrivati ma non ce l’ha fatta.

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