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Servizi all’impiego, dopo 5 anni di Pnrr sono “schizofrenici”. Il confronto con l’Europa del sociologo Giubileo

"Nel Regno Unito si metterebbero a ridere se dicessi che l'obiettivo raggiunto del programma Gol è la registrazione delle persone"
Servizi all’impiego, dopo 5 anni di Pnrr sono “schizofrenici”. Il confronto con l’Europa del sociologo Giubileo
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Con la scadenza del Pnrr ormai vicina, le politiche attive del lavoro in Italia si trovano a un nuovo bivio. Il programma Gol (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori), finanziato con 4,4 miliardi di euro, è nato per coinvolgere 3 milioni di persone entro il 2025, 800 mila delle quali in percorsi formativi. Ma al di là dei numeri, resta la domanda centrale: cosa lascerà in eredità? Sono stati fissati nuovi standard provando, almeno nelle intenzioni, a superare la frammentazione del sistema italiano. Nella quale però rischiamo di ricadere una volta archiviato il Pnrr, a meno di rilanciare una sfida che emerge soprattutto dal confronto con altri sistemi di politiche attive. Ne sa qualcosa il sociologo del lavoro Francesco Giubileo. Consulente in diverse Regioni italiane, docente a contratto di politiche attive del lavoro e di orientamento professionale alla Luiss di Roma e all’Università di Firenze, quando è all’estero non perde mai l’occasione di visitare un centro per l’impiego.

Giubileo, partiamo proprio dalla sua recente visita in Scozia: cosa salta all’occhio entrando in quelli che nel Regno Unito si chiamano Jobcentre Plus?
La prima cosa che colpisce è la differenza infrastrutturale. Il Jobcentre Plus (Jcp) di Edimburgo è in pieno centro: nuovo, gradevole, ristrutturato. Cosa che contrasta con molti centri per l’impiego in Italia, spesso periferici o in strutture fatiscenti. Ma al di là dell’aspetto, la vera differenza, visibile non solo nel caso inglese ma anche in quello tedesco, è l’approccio integrato, la capacità di offrire tutta una filiera di servizi in un unico posto.

Com’è l’Italia vista da un Jobcentre?
In Italia un utente si trova davanti un iter schizofrenico in cui si moltiplicano piattaforme e interlocutori: l’Inps, i centri per l’impiego, le agenzie per il lavoro. Se poi è un soggetto svantaggiato dovrà interagire anche con i servizi sociali dei comuni. La platea dei nostri centri, spesso fragile e con bassa o bassissima specializzazione e scolarità, si disincentiva e si allontana. Evitarlo dovrebbe essere parte integrante del servizio offerto, come nei Jobcentre inglesi dove a emergere è proprio la facilità, l’immediatezza. Un’unica piattaforma dalla quale accedere a ogni servizio, un unico ufficio, un unico interlocutore, il work coach, che è sempre lo stesso. La registrazione è immediata, fai tutto lì.

Come si spiega l’infrastruttura italiana?
La principale responsabilità è sicuramente politica, in un quadro pluridecennale, non si tratta di un solo governo. Le grandi riforme, come quella del Titolo V della Costituzione, e la creazione delle agenzie regionali hanno avviato e man mano accentuato la frammentazione. Stato (Inps), Regioni (agenzie e centri per l’impiego), Comuni (servizi sociali), hanno competenze differenti e spesso pochi fondi. Problemi che per i cittadini tedeschi e inglesi non si pongono, perché entrambi hanno una struttura nazionale che si occupa sia di politiche passive che attive.

Quali passi avanti col Pnrr?
Per il potenziamento del personale nei cpi, che avrebbe dovuto quasi raddoppiare, tocca rilevare che la necessità di assumere figure organizzative ha spesso ridotto i budget, ma soprattutto che in alcune regioni il reclutamento è stato lento, tanto che la fuga di personale qualificato verso altri concorsi e impieghi, ma anche il semplice turnover legato ai pensionamenti, hanno ridimensionato parecchio le ambizioni iniziali. Poi c’era il potenziamento delle infrastrutture, la ristrutturazione o creazione di nuove sedi. Ma negli uffici comunali la mancanza di personale, competenze, o i conflitti con le strutture regionali hanno bloccato tantissimi progetti. In molti casi non si è arrivati nemmeno a preparare la documentazione tecnica da mandare a Bruxelles per ottenere le approvazioni.

E il lavoro con gli utenti?
Alcuni obiettivi, come la presa in carico, sono stati realizzati. Ma la presa in carico non è altro che la registrazione dell’utenza al programma: nel Regno Unito si metterebbero a ridere se dicessi che l’obiettivo raggiunto è la registrazione delle persone. Quanto agli obiettivi legati alla formazione, sono lontanissimi dall’essere raggiunti. La formazione risente di un problema che con Gol è emerso definitivamente, quello abitativo. I costi elevati impediscono alle persone di spostarsi per cogliere opportunità formative e occupazionali. Da qui la richiesta di politiche abitative che però non sono rientrate negli obiettivi di Gol, né siamo in grado di fare un programma integrato che le includa. In Finlandia, ad esempio, nel programma per i giovani hanno incluso la garanzia di un alloggio, perché si sono resi conto che l’indipendenza abitativa facilita l’inserimento occupazionale e la partecipazione alla formazione.

Che formazione abbiamo fatto?
Ci sono regioni come Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, che hanno agenzie consolidate e strutturate, in grado di erogare servizi adeguati. Altre dove l’implementazione è tuttora in fase preliminare. Il prezzo da pagare sta anche in percorsi formativi non sempre adeguati o utili all’utente finale. Per avere prospettive occupazionali buona parte della platea avrebbe bisogno di percorsi formativi di lungo periodo, proprio quelli che non riusciamo a sviluppare. Senza dimenticare che, soprattutto al Sud dove in parte Gol ha fallito, la partecipazione alle politiche deve fare i conti col l’enorme diffusione del sommerso.

Certo, se sussidi e indennità arrivano a singhiozzo o in ritardo di mesi, come accade per gli stessi tirocini Gol…
Anche questo rientra nei Livelli Essenziali che andrebbero garantiti. Come puoi agganciare una platea fragile se tu per primo non sei affidabile? Tornando al caso inglese, lì i Jobcentre sono divisi in distretti, ogni district manager ha un budget e risponde degli obiettivi raggiunti. Se i tirocini non sono stati pagati, è sul manager che la politica farà pressione fino a pretenderne le dimissioni. In Italia non sai nemmeno chi è il responsabile ultimo. Lì la catena è chiara: utente, work coach, responsabile d’ufficio, dirigente di zona, manager. Non è tutto oro nemmeno lì, lo sappiamo. Ma l’infrastruttura di base, l’efficienza operativa, quella c’è. Da noi, non ancora.

Cosa resterà di Gol?
Ha sicuramente rappresentato un’innovazione importante, a partire dagli accordi Stato-Regioni sui quali ha costruito uno schema nazionale unico, regole chiare, strutturate su priorità e scale di bisogni, definendo Livelli Essenziali. Dobbiamo augurarci che il meccanismo venga portato avanti. Perché la frammentazione, purtroppo, continueremo a vederla. Realisticamente, l’eredità di Gol sarà un mix: un tentativo di standardizzazione che si scontra con i persistenti problemi di implementazione disomogenea e ostacoli strutturali che porteranno ancora a risultati parziali, soprattutto sugli obiettivi più ambiziosi come la formazione di qualità. Serve personalizzare il servizio, ma non funziona se l’utente ha cinque interlocutori. Col Reddito di Cittadinanza avevamo i “navigator”, che davano all’utente un numero di cellulare creando una prima figura di riferimento, un po’ come il work coach inglese. Ora non più. C’è poi il tema dell’utenza straniera, soprattutto al Nord, che richiede mediazione culturale e servizi specifici, un aspetto che nel Regno Unito è già ampiamente affrontato. Infine c’è l’intelligenza artificiale, che in alcuni casi temo sia già più efficace di un appuntamento in certi cpi. Va letta come un’opportunità per liberare gli operatori e formarli sui bisogni specifici delle diverse categorie di utenza, come già fanno in Germania.

Ma?
La complessità dell’assetto istituzionale rende tutto difficile, principalmente perché la Costituzione delega le politiche attive alle regioni. Dovresti spostare queste competenze dalle agenzie regionali consolidate all’Inps e creare un ufficio unico. Se vuoi includere le competenze dei servizi sociali, dovresti integrarli nei centri per l’impiego. È un macello, tecnicamente parlando.

Insomma, non ci crede nemmeno lei.
Ammetto che siamo noi tecnici i primi a dire che oggi non è possibile. E che noi stessi, la tecnostruttura, siamo parte del problema. Nel Regno Unito e in Germania la maggior parte dei servizi viene fatta da un call center centrale. C’è un numero verde, chiami, parli con un operatore e risolvono la maggior parte dei problemi. Molte cose si possono fare online, non devi nemmeno andare in ufficio. In Germania, i dipendenti di questi uffici unici gestiscono pensioni e lavoro, tutto attraverso un’unica piattaforma e infatti lavorano anche da casa. Nemmeno questo riusciamo a fare.

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