Konstantin Pavlov, il viscerale rigetto del regime (Traduzione di Alessandra Bertuccelli)
La vita e l’opera di Konstantin Pavlov (1933-2008), poeta, drammaturgo e sceneggiatore bulgaro, furono segnate dallo scontro tra la sua libertà e gli ingranaggi dello stato totalitario: la Repubblica Popolare di Bulgaria. La pubblicazione del suo secondo libro (Versi, 1965) scatenò uno scandalo tale da provocare la sua esclusione dal mondo letterario (e dalla società) per circa un ventennio. La riabilitazione ufficiale avvenne solo dopo il 1989 e fu seguita dalla pubblicazione di diverse opere inedite e antologie. C’è però da dire che i suoi scritti non avevano mai smesso di circolare, indipendentemente dal pericolo che ciò comportava.
Considerato da alcuni critici l’ultimo dei modernisti bulgari, e, da altri, il padre del postmodernismo bulgaro e del cosiddetto “canone letterario alternativo”, Konstantin Pavlov è una figura emblematica che segnò una volta e per sempre la poesia contemporanea del proprio paese. E lo fece, da un lato, con la sua debordante originalità nell’uso del linguaggio – non assoggettato alle regole del canone letterario dell’epoca ma libero di significare esattamente ciò che voleva significare, e quindi, e soprattutto, libero di dare corpo al proprio viscerale rigetto nei confronti di un regime percepito come costituzionalmente criminale; e dall’altro, con la creazione di testi di natura squisitamente allegorica veicolanti un’irresistibile urgenza comune a pochi della sua generazione, quella cioè di riappropriarsi della verità. E la verità per Konstantin Pavlov per forza di cosa era intrisa d’orrido, dolore e mostruosità, ma anche di dirompenti sagacia e autoironia.
A.B.
Era il XX secolo
Umanità,
dì addio a te stessa.
È venuta la tua ora.
Che cosa porterai nel nulla:
due o tre versi?
Qualche melodia?
Imperfetti.
Il resto, che bruci.
Sarà giusto.
Oh natura, oh madre,
puoi tirare il fiato –
se non ti ucciderà il dolore
per l’ennesima separazione,
la vita cancellerà i ricordi-ferite
della più crudele
e più falsa
delle tue creature:
l’homo sapiens.
E nessuno potrà
né dovrà rattristarsi.
Nell’immensità –
direzione il nulla –
galleggeranno solo due o tre atomi di malinconia
l’assurdo amore –
di quei pochi cani sopravvissuti,
come un ultimo
immeritato requiem.
Apparizione (1989)
La vendetta della saggezza
Attendevo con ansia la morte di mio nonno –
Volevo essere il primo a entrare in camera,
per rubargli il rosario
con i grani pesanti,
pesanti come le macine di un mulino.
Questo rosario è magico;
non a caso lo chiamavano
rosario della saggezza.
Basta sfiorarlo
per apprendere i misteri.
Mio nonno morì.
Lo rubai.
Come un vino nero centenario,
come un veleno ad azione rapida
la saggezza irruppe nel mio sangue.
Andavo commosso per il cortile.
– Gente! – volevo gridare, –
sono fratello di sangue della saggezza! –
La cordicella si schiantò…
La cordicella di pelle si spezzò.
Sfilati i grani luccicarono
e si dispersero impotenti
come il grano caduto fuori dai solchi.
Sentii un cicalio dall’alto.
Le gazze volarono giù dall’olmo
e ingannate dal bagliore del sole
beccarono tutti i grani.
D’un tratto i loro occhi si fecero saggi,
iniziarono a gracchiare aforismi.
Poi di nuovo distesero le ali,
ma
vani furono i loro sforzi –
pesanti erano i grani ingeriti,
pesanti come macine di un mulino. –
E allora il gatto
con aggraziati saltelli
si avventò su di loro
e le divorò.
Satire (1960)
* * *
Cerchiamo noi stessi a tastoni.
E quando ci sfioriamo
disgustati lasciamo la presa…
(Una cosa viscida,
una cosa schifosa…)
Per continuare di nuovo…
(Ancora viscida.
Ancora schifosa…)
1980
Poema senza fine (secondo estratto)
Mi sveglio.
E:
orrore:
mi rendo conto d’esser vivo.
Per quale ennesima volta…
E fino a quando?
Mi sono stufato!
Risplende l’ennesimo giorno –
come un regalo-punizione.
E i necrologi intorno a me si moltiplicano:
una foto e un verso, una foto e un verso…
(Un verso! Un verso! Un verso!)
Sempre gli altri! Sempre gli altri! …
E Kosta (ovvero io):
non lo pubblicano. Non lo pubblicano…
Ed è accattivante la prospettiva-speranza:
“Il nostro caro… Ricordano gli eternamente afflitti.”
Perché gli afflitti si ritengono eterni?
L’eternamente afflitto muore
e con la sua morte origina un nuovo afflitto:
“Ricordano gli eternamente…”
Infelici miei, tristi e benintenzionati…
Il poeta in fin dei conti è un incantevole svergognato:
quando lacera i suoi vestiti,
(imprecando),
quando vi fa uno spogliarello,
(imprecando),
non suscita cattivi pensieri
(eccetto fra i depravati).
E ammettiamo pure che abbiate ragione,
e ammettiamo pure che sia un mostro
l’anima-corpo spogliata;
bello è di per sé
il suo svergognato spogliarsi;
è una consolazione
per i mostri di buon cuore
e una lezione
per i perfetti farabutti.
Accidenti,
ecco che si fa di nuovo sera,
e mi addormenterò con l’illusione
di avere l’anima monda.
Per il domani
lascio in eredità un giuramento:
non lavate il mio corpo!
E:
niente dissezioni –
me le sono fatte da solo:
“La morte è innaturale!”
Cose vecchie (1983)
*In italiano Konstantin Pavlov lo si può leggere nell’antologia “Cavalli indomati” a cura di A. Bertuccelli (Valigie Rosse, 2022)