Cronaca

Gridò “Palestina libera” a Meloni: licenziata una maschera della Scala di Milano. Sala: “Voglio capire le ragioni”

Alla lavoratrice, una studentessa universitaria, è stato contestato di aver violato l'ordine di servizio. Il sindacato Cub: "È un avvertimento a chi esprime le proprie opinioni"

Questa storia ha un soggetto, ma non un nome. Il soggetto è una ragazza, una maschera, licenziata dalla Scala di Milano per aver urlato “Palestina libera” il 4 maggio scorso, mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni entrava nel teatro per un concerto organizzato in occasione del meeting annuale dell’Asian Development Bank. C’è appunto il soggetto, c’è la storia, ma non c’è il nome della maschera. L’unica cosa che trapela, dopo aver parlato con i sindacati del teatro, è che la ragazza è una “studentessa universitaria”. Non vogliono dire altro, i sindacati. E non vuole uscire allo scoperto lei, nel timore, dicono ancora i rappresentanti sindacali, “di altre possibili ritorsioni e minacce”.

Non ci sono dichiarazioni ufficiali da parte della direzione del Teatro. Quello che si sa è, appunto, di fonte sindacale. La ragazza sarebbe stata convocata dal direttore del personale, che le ha contestato di aver tradito l’ordine di servizio. Il posto che le era stato assegnato in quanto maschera era il terzo ordine di palchi. La ragazza è salita in prima galleria, dove ha gridato “Palestina libera”, senza però riuscire a srotolare la bandiera palestinese che aveva con sé. Agenti di polizia, presenti in teatro, l’hanno subito bloccata. È stato lo stesso sovrintendente della Scala, Fortunato Ortombina, nominato lo scorso 17 febbraio, a firmare l’ordine di licenziamento. Interpellato sul tema a margine di un evento, il sindaco di Milano Giuseppe Sala prende tempo: “Non ne ho parlato con il sovrintendente, francamente non ne ero informato, quindi prima voglio parlarne con lui e capire le ragioni”, risponde.

“Potevano non arrivare al licenziamento in tronco” dice Roberto D’Ambrosio, rappresentante sindacale della Cub (Confederazione unitaria di base) nell’ente. Il teatro avrebbe infatti avuto a disposizione altri strumenti, come sanzioni temporanee o anche il mancato rinnovo del contratto, a fine stagione: i contratti delle maschere scaligere, tutti studenti universitari in corso, sono infatti rinnovati di anno in anno. Ma si è appunto scelto un provvedimento esemplare e, a giudizio del sindacato, eccessivo. “La direzione del teatro ha tollerato per anni personale di biglietteria che rubava e che si è arricchito. Una ragazza esprime in modo spontaneo, simbolico, il suo sdegno per migliaia di civili, donne, bambini uccisi, e viene licenziata in tronco. Sembra più un avvertimento a chi pensa di esprimere liberamente le proprie opinioni, che un provvedimento disciplinare”.

Il fatto è che Gaza, sempre più, è argomento difficile, ostico, pericoloso da affrontare. In Europa come negli Stati Uniti. È sulla base del presunto antisemitismo di chi protesta contro la guerra a Gaza che l’amministrazione Trump ha tagliato i fondi a Harvard e pretende di entrare nella gestione accademica dell’università. È per le proteste contro la guerra a Gaza che l’amministrazione ha arrestato alcuni studenti stranieri e cercato di cancellare il visto a centinaia di altri. È per quanto gli studenti stranieri scrivono sui loro social, che l’amministrazione sta rivedendo le pratiche di concessione dei visti di studio. Toccare Gaza – su cui si affollano vecchi e nuovi tabù occidentali, dall’Olocausto al possibile genocidio dei palestinesi – è insomma rischioso. E la vicenda della maschera scaligera lo conferma.

Dal caso, comunque, emerge qualcosa di più. La ragazza ha compiuto quello che, da Henry David Thoreau in poi, viene definita “disobbedienza civile”: un atto di protesta in nome di un’idea e del rispetto della propria coscienza, in cui si viola consapevolmente una norma, una legge, una pratica considerate ingiuste. Da chi si rifiuta di partecipare alla produzione di strumenti di guerra a chi non si alza per cedere il proprio posto sull’autobus, a chi oggi occupa le università per contestare la guerra a Gaza, la storia passata e recente è piena di gente che ha compiuto un gesto potenzialmente “illegale”, sapendo che l’avrebbe pagato. Probabile che anche la maschera della Scala sapesse di poter pagare un prezzo. Quello che oggi è diverso, e inquietante, è che, per paura di “altre possibili ritorsioni e minacce”, quel gesto di disobbedienza civile sia destinato a restare anonimo. Questa storia ha appunto un soggetto, ma non un nome.