
Psicologi, dietisti, fisioterapisti: nella "Casa" sono presenti tante figure specializzate. E le donne si ritrovano insieme almeno un anno per elaborare il lutto e superare il dolore
Parte oggi La voce dei buoni, una rubrica per raccontare storie “ad alta intensità di bene”, in ogni ambito. Perché il bene esiste, è ovunque, ma è meno visibile del male: serve, con urgenza, dargli voce.
“Vedere un sorriso sui volti di queste madri dopo aver imparato a disegnare un gatto o un vaso di fiori attraverso insegnanti di arte, o mentre giocano con i cani adibiti alla pet therapy è qualcosa che mi ha commosso. Così come vederle lentamente un poco rinascere, ricominciare a truccarsi, mettere lo smalto”. Fr. Carlo Maria Chistolini è un frate cappuccino, missionario per oltre dieci anni in Amazzonia e responsabile della fondazione Assisi Missio. Quando, oltre tre anni fa, è scoppiata la guerra in Ucraina, è partito insieme ad altri per Kiev, dove i frati cappuccini (supportati dalle donazioni del noto Calendario di Frate Indovino), hanno aperto Casa Padre Pio. Proprio in quella struttura è cominciato, fin dall’inizio del conflitto, un progetto per supportare le madri ucraine che hanno perso un figlio in guerra, iniziativa che ha preso il nome “Le Madri di Casa Padre Pio” e che ora sta replicandosi in altre città dell’Ucraina dove sono presenti i frati cappuccini. “Perdendo un figlio, queste madri non solo perdono la persona più cara ma spesso anche quella che rappresenta un sostegno per l’anzianità – la maggioranza aveva un solo figlio – e quindi si ritrovano sole e disperate, alcune si sono anche tolte la vita”, spiega il cappuccino.
Esperti che aiutano, gratuitamente, a elaborare il lutto
Il progetto – le cui prime origini nascono nel 2014, con gli incidenti nella regione del Donbass – inizia in una sala parrocchiale, poi grazie ai fondi si amplia: aumentano padiglioni, dormitori, strutture, anche una piccola scuola per le donne che arrivano con figli piccoli.
Le donne (oltre duecento quelle che sono passate qui) arrivano non subito dopo la perdita – “nel primo periodo il dolore è troppo grande”, spiegano quelli che le aiutano – e restano per alcuni mesi, facendo un percorso stabilito per rielaborare il lutto con il sostegno di medici, psicoterapeuti, esperti in arteterapia e pet terapia, fisioterapisti (la tensione e il dolore si traducono infatti anche in problemi ortopedici), ma anche dietisti. Necessari, spiega Fr. Carlo Maria, perché “molte arrivano che si erano lasciate andare, mangiano in maniera del tutto sregolata”. Tutte le attività sono portate avanti da esperti locali che lavorano gratuitamente.
Il percorso prevede incontri residenziali con periodi di convivenza, durante il quali le madri possono aprirsi e raccontare la vita dei loro figli e i loro sentimenti. La vita in comune, spesso dormendo in letti vicini, aiuta, per quanto possibile, il percorso di riabilitazione.
C’è anche, infine, un percorso spirituale, che però tiene presente la diversità delle donne che arrivano, “alcune sono non credenti, la maggior parte ortodosse. Quando però si organizza una messa in suffragio dei figli, “partecipano tutte, è un momento di condivisione al di là delle diverse fedi”, commenta il frate.
Il “piatto dell’eroe”. E la fine del pianto
“Quello che mi ha colpito di più, anche se il dolore non si può togliere”, spiega Paolo Friso, direttore delle Edizioni Frate Indovino, anche lui andato a Kiev più volte, “è la scintilla che torna in queste madri finora solo strumentalizzate. Perché non è che non ci siano associazioni di aiuto, il governo dà loro anche una sorta di assegno, ma in realtà poi le convocano davanti ai media e alle telecamere per piangere, e poi le congedano rapidamente, una cosa che aggiunge il dramma al dramma”.
Qui, nella Casa Padre Pio, il percorso dura almeno un anno e alla fine del percorso, dove possibile, si fa il reinserimento in famiglia, altrimenti si prolunga la loro permanenza. C’è anche momento particolarmente toccante che si svolge nella Casa. “È un rito, si chiama ‘il piatto dell’eroe’”, spiega Fr. Carlo Maria Chistolini. “Ogni tot giorni, una madre cucina e offre alle altre madri il piatto preferito del figlio, è un momento intenso, a volte le madri si commuovono, ma la condivisione aiuta enormemente, così come realizzare di non essere le uniche a provare quel dolore”. Ma il momento in cui si capisce che le donne stanno meglio, spiega, è quando “riescono a tenere in mano la foto del figlio senza piangere”.
“Quello che ho potuto constatare”, dice a sua volta Paolo Friso, “è come ormai sul popolo ucraino sia scesa una nube di sconforto. Nelle strade si vedono soprattutto mutilati, una cosa a cui noi non siamo abituati. E sa perché? Perché le madri, magari quelle che ne hanno già perso uno, nascondono i figli in casa per non farli partite. Lo stato recluta tutti, addirittura alcuni frati sono stati arruolati per il fronte. Non ci sono più uomini – a parte sfollati, anziani, donne e bambini sono tutti al fronte”.
“Con la guerra perdono tutti”, conclude Fr. Carlo Maria. “Lo stesso soldato che difende la sua patria non sa perché si trova lì né perché deve fare quello che fa. Il male acceca le menti dei potenti, assetati di successo e guadagno, l’egoismo chiude il cuore; basterebbe un po’ di umiltà e mettersi a tavolino per ridurre tutta questa sofferenza”.
Il progetto per le madri, intanto, continua: “Abbiamo iniziato parlando con le madri del nostro quartiere. Ma dai piccoli numeri iniziali”, conclude il cappuccino, “ora abbiamo una lista di attesa molto lunga: il passaparola, infatti, è stato efficacissimo e ora stiamo pensando di attivare questi percorsi terapeutici anche negli altri conventi cappuccini in Ucraina”.