“L’ignoto, il proibito e il macabro esercitano un richiamo potente. Ci affascina il lato oscuro dell’animo umano”. L’esperta spiega perché siamo così attratti dalla cronaca nera
“Ho deciso di scrivere storie true crime basandomi sulle mie indagini del passato”, confida al collega Woody Harrelson nei panni dell’ispettore Martin Hart, della fortunata serie tv True Detective. Sì, perché al di là della finzione filmica, i racconti tratti da crimini efferati raccolgono un buon numero di consensi e lettori tra il pubblico. Non solo, sintomo di questa spasmodica attenzione sulle vicende di cronaca nera sono le numerose notizie che si susseguono minuziosamente su episodi come il delitto di Garlasco, ritornato alla ribalta dopo nuove prove che rimettono in questione chi sia stato il vero colpevole della morte di Chiara Poggi.
Perché quindi siamo così attratti da storie di crimini efferati, omicidi o sparizioni misteriose? Che cosa rivela questo fenomeno della nostra psiche a livello di più profondo? “L’ignoto, il proibito e il macabro esercitano un richiamo potente – spiega al FattoQuotidiano.it la dottoressa Elisa Caponetti, psicologa e psicoterapeuta -. Il crimine rappresenta una rottura delle norme sociali, un’esplorazione del lato oscuro dell’animo umano che, pur inquietante, ci affascina. Ci permette di toccare con mano l’estremità della condizione umana senza subirne le conseguenze dirette”.
Più sicuri nel proprio mondo
Analizzare i moventi, le dinamiche, le indagini, ci dà l’illusione di poter prevedere e quindi, in qualche modo, prevenire il male. “È un tentativo di dare un ordine al caos, di razionalizzare l’irrazionale per sentirci più sicuri nel nostro mondo – continua la psicologa -. Vedere il male raccontato ci permette di elaborare le nostre ansie e paure più profonde sulla violenza, la morte e la perdita. È una sorta di esorcismo collettivo, un modo per affrontare l’ombra che sappiamo esistere, sia nella società che, a volte, dentro di noi. Ci si confronta con il lato più buio dell’esistenza umana, quello che tutti vorremmo ignorare ma che, in fondo, sappiamo essere presente”.
Affrontare la paura
Molte persone guardano serie true crime per rilassarsi o “staccare” la mente, come se fossero fiction. “E non è solo una forma di controllo dell’ansia – sottolinea Caponetti -. L’esperienza di guardare questi programmi ci permette di affrontare le paure in un ambiente controllato stando al sicuro sul divano di casa interrompendo la visione quando si vuole. Seguire le indagini, i colpi di scena, le scoperte, stimola la mente e offre un senso di soddisfazione quando il puzzle si compone. È come leggere un giallo, ma con la differenza che è successo davvero, il che aggiunge un livello di intensità”.
Identificarsi con la vittima
Nelle storie di cronaca nera, l’identificazione è complessa. Spesso ci si immedesima nella vittima, nella sua vulnerabilità e nel desiderio di giustizia, rafforzando il nostro senso morale. “Parallelamente, c’è una forte identificazione con l’investigatore, che incarna la ricerca di verità e ordine – prosegue l’esperta -. L’identificazione con l’omicida è rara e può indicare disagio, ma un interesse più morboso può nascere dalla fascinazione per il male e dal tentativo di comprendere le motivazioni profonde e spesso patologiche dietro atti efferati”.
La mercificazione del dolore
Tuttavia, è fondamentale non sottovalutare la desensibilizzazione, ovvero il rischio che la costante esposizione alla violenza possa progressivamente normalizzarla. Un rischio che aumenta quando la cronaca nera diventa intrattenimento, fino alla “mercificazione del dolore: le tragedie reali si trasformano in ‘contenuto’ da consumare, banalizzando la violenza e ignorando il trauma delle vittime. Questo porta – conclude Caponetti – a una desensibilizzazione, erodendo la nostra empatia e rendendoci meno scossi di fronte alla sofferenza. Infine, si manca di rispetto verso vittime e familiari, privilegiando il sensazionalismo e la diffusione di dettagli dolorosi per massimizzare l’audience. L’intrattenimento non deve mai giustificare la violazione della dignità umana”.