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Iper – festival delle periferie, Roma allo specchio: una città meno eterna ma più mutante

In una capitale segnata da disuguaglianze sociali e desertificazione culturale, Iper è una mappa alternativa, una proposta, ma anche una provocazione: e se il centro, quello vero, fosse da un’altra parte?
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Ogni tanto Roma decide di guardarsi. Ma non lo fa dalle terrazze del Pincio né dagli attici degli hotel a cinque stelle del centro storico. Lo fa dal basso, dai margini, specchiandosi nel riflesso delle sue periferie.

Dal 2 al 28 maggio, Iper – Festival delle Periferie torna per la sua quarta edizione. Il sottotitolo – “Urbs et Orbis. Roma e le altre: città allo specchio” – è già un manifesto. La direzione artistica è di Giorgio de Finis, il solito lucido visionario che non dirige, guida: con lo sguardo rivolto alla Roma di Tor Bella Monaca e a Santiago del Cile, Baghdad, Delhi. Il tema di quest’anno: le trasformazioni di Roma, dal centro ai bordi estremi. Il tema non è nuovo, ma nuovo è il modo di raccontarlo perché Roma, si sa, non riesce a essere una sola, è fatta di centri e margini, a volte frastagliati, altre rigidamente separati. C’è chi abita il centro ma ai margini della vita vera, e chi vive ai margini ma costruisce comunità autentiche, esperimenti di sopravvivenza e creatività collettiva.

Iper si muove come un corpo diffuso, senza epicentro: mostre, lecture, talk, film, forum, camminate, incontri, sogni urbanistici e teorie sull’acqua. Nel frattempo, il Museo delle Periferie – quello vero, con le mura – è ancora in costruzione, si barcamena tra capitolati e bandi, nascerà a Tor Bella Monaca alla fine del 2026. Ma l’idea è già viva, nomade, in movimento. Il festival ne è il corpo provvisorio ma pulsante, non porta la cultura dal centro alle periferie: trasforma le periferie in fucine culturali, vere, libere, intrise di realtà. “Immaginarsi tutti periferia, equidistanti da un centro lasciato vuoto – dice de Finis – è il solo modo per costruire un ecosistema urbano sano, equo e inclusivo”, più che un museo, un dispositivo poetico-politico, un grimaldello.

Il programma è fitto. A metà festival, il 13 e 14 maggio, il Tevere diventa frontiera e metafora: un convegno internazionale al MACRO e performance in Piazza Tevere accendono il dibattito su ecosistemi e diritti dei fiumi. Sembra arte, è un trattato idro-politico in forma di rito collettivo: dall’Ecuador all’Iraq, dalla Nuova Zelanda a Roma, l’acqua scorre e trascina idee, conflitti, visioni. Poi c’è l’università: quella della Sapienza, che il 15 e 16 maggio si mette in ascolto della città, si ragiona con Carpenzano, Boeri, Purini e Strinati. Il 18, a Tor Marancia, i muri diventano diari: adolescenti, artisti e comunità trasformano il cantiere in palcoscenico. E a Palazzo delle Esposizioni, Jean-Marc Besse ricorda che ogni città è anche una lente. Anche Roma.

Il 21 è la volta di Carlos Moreno, l’inventore della “città dei 15 minuti”, quella dove il panettiere, la scuola e l’ambulatorio non stanno a tre ore di traffico. Un concetto che dovrebbe valere come un diritto umano, è la città della prossimità, più simile a un desiderio che a un piano regolatore, ma il futuro, si sa, inizia sempre da un’utopia.

Il 27 maggio, al Museo delle Civiltà, si parla di decolonizzazione. Non solo dei musei, ma della città stessa. I have known rivers and cities -con artisti africani, curatori e attivisti – è un titolo poetico e una provocazione: quante Rome esistono, e chi le abita davvero? Il festival si chiude il 28 maggio con due gesti emblematici: l’Automappatura delle periferie – dove le realtà territoriali si raccontano con cinque domande semplici: chi, dove, quando, come, perché; – e un incontro a Tor Bella Monaca, Territorio dell’Innovazione, per immaginare una città in cui anche l’innovazione sia un diritto. A parlare ci saranno assessori, urbanisti, sociologi, ma soprattutto chi lì ci vive, ci lavora, ci prova.

In una capitale segnata da disuguaglianze sociali e desertificazione culturale, Iper è una mappa alternativa, una proposta, ma anche una provocazione: e se il centro, quello vero, fosse da un’altra parte? Iper non è un festival per chi cerca conferme, ma per chi accetta di lasciarsi spiazzare. È un percorso non lineare, fatto di deviazioni e ritorni. Ma dentro questo divagare, forse, si nasconde la forma della nuova Roma. Una città meno eterna, più mutante. Laterale, viva, precaria – e proprio per questo più fertile.

Foto in evidenza: ©Marco-Barbon_SIC-TRANSIT-GLORIA-MUNDI_Corviale_Roma_2022

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