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Usa, sconfitta giudiziaria per Trump: la Corte suprema blocca l’uso della legge di guerra per deportare i migranti

Reazione furibonda del presidente statunitense sui social: "La Corte non ci permette di portare i criminali fuori dal nostra Paese". Esultano le organizzazioni per i diritti civili
Usa, sconfitta giudiziaria per Trump: la Corte suprema blocca l’uso della legge di guerra per deportare i migranti
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Donald Trump non può, per il momento, usare l’Alien Enemies Act per deportare i prigionieri venezuelani in un carcere di massima sicurezza di El Salvador. La decisione della Corte Suprema esplode nella Washington politica e sui media americani venerdì 16 maggio, e rappresenta la più clamorosa, e pesante, sconfitta giudiziaria collezionata dall’amministrazione Trump nei suoi primi mesi di governo. I giudici della Corte rimandano la decisione sull’uso della legge di guerra per le deportazioni a una corte federale, che stava già esaminando il caso. Per il momento, quindi, le deportazioni sono congelate, come aveva stabilito la corte d’appello, che ora dovrà anche valutare che tipo di notifica il governo è obbligato a dare ai migranti, per contestare la loro espulsione. La sconfitta, per Donald Trump, è totale. E infatti il presidente affida al suo social una reazione furibonda. Scrive, tutto in maiuscolo: “LA CORTE SUPREMA NON CI PERMETTE DI PORTARE I CRIMINALI FUORI DEL NOSTRO PAESE!”. Poco più tardi, torna sulla questione, questa volta in minuscolo: “La Corte Suprema degli Stati Uniti non mi permette di fare ciò per cui sono stato eletto. È un giorno brutto e pericoloso per l’America”.

Il voto finale della Corte è stato sette contro due. Hanno votato contro i due giudici più conservatori. Samuel Alito, che ha scritto il dissenso, sostiene che i giudici non hanno l’autorità, per ora, di esaminare la controversia. Ad Alito, si è unito Clarence Thomas. La decisione conferma che in questa fase sono i tribunali l’unico vero argine alle decisioni di Trump, il luogo dove si cerca di limitare la radicale, e preoccupante, concentrazione di poteri nelle mani del presidente. Insieme a un’altra questione dinanzi alla Corte – quella legata allo ius soli e al diritto dei tribunali di bloccare gli ordini presidenziali – la vicenda dei migranti venezuelani era la più importante. Trump ha infatti fatto ricorso a una legge di guerra del 1798, appunto l’Alien Enemy Act, per espellere i prigionieri venezuelani, accusati di essere membri della gang Tren de Aragua. Il presidente sostiene – senza portare alcuna prova – che il governo venezuelano è coinvolto nelle attività della gang, che possono quindi essere ritenute un atto ostile, persino un atto di guerra, nei confronti degli Stati Uniti. Di qui appunto l’adozione di una misura che consente di espellere, senza processo, i cittadini del Paese presunto in guerra. Il Venezuela.

Destinazione prescelta tra le altre, per le deportazioni, è stato El Salvador, dove grazie a un accordo con il presidente Nayib Bukele, i prigionieri già arrivati dagli Stati Uniti sono stati internati nel Terrorism Confinement Center, un carcere di massima sicurezza tristemente noto quanto a violazione dei diritti dei detenuti. Da subito, diversi giudici dei tribunali di grado inferiore si sono mostrati scettici sulla costituzionalità dell’uso dell’Alien Enemies Act, che spiega chiaramente che gli Stati Uniti devono essere stati oggetto di “invasione” o “incursione predatoria” per arrivare alla deportazione degli stranieri. Un giudice ha quindi bloccato di urgenza le prime espulsioni. Invano. Nonostante la sua ingiunzione, l’amministrazione ha fatto comunque partire due aerei carichi di prigionieri, peraltro non soltanto venezuelani. A quel punto altri tribunali sono intervenuti, sottolineando l’illegalità delle deportazioni. Si è infine arrivati al 18 aprile, quando gli avvocati per i diritti civili si sono precipitati alla Corte Suprema. Avevano raccolto informazioni fondate e tali da far pensare che migranti venezuelani detenuti in Texas avevano ricevuto avvisi di imminente espulsione e stavano per essere caricati su un aereo. Con una decisione di emergenza, nella notte, i giudici della Corte avevano bloccato gli agenti dell’immigrazione.

Arriva ora una decisione dalle implicazioni ben più vaste, che non riguarda soltanto gli aerei in partenza dal Texas, ma l’intero territorio nazionale. La maggioranza dei giudici della Corte si dice infatti preoccupata per il “peso particolare” che i detenuti devono affrontare. Molti finiti nel vortice delle espulsioni non c’entrano niente con Tren de Aragua. Non sono nemmeno cittadini venezuelani. Non avendo però accesso all’assistenza legale e a un processo che ne valuti la situazione, non possono difendersi. Vengono direttamente espulsi. Tra le storie più gravi, che la stessa Corte Suprema nel suo ordine ricorda, c’è quella di Armando Abrego Garcia, un cittadino di El Salvador, residente illegale negli Stati Uniti, dove è sposato con una cittadina americana e dove ha figli americani. Anni fa, un tribunale gli aveva concesso una sospensione dell’ordine di rimpatrio in El Salvador, dove l’uomo rischierebbe abusi e violenze. Abrego è stato invece fermato, arrestato, portato in un centro di detenzione segreto, quindi spedito nella prigione di El Salvador. La Corte Suprema ha chiesto all’amministrazione di “facilitare” il suo ritorno negli Stati Uniti. L’amministrazione ha risposto in vari modi: dal più classico “me ne frego” al fatto che sarebbe Bukele, il presidente salvadoregno, a non vuol restituire Abrego.

Cancellare le tutele del giusto processo, aumenta dunque il rischio di errori giudiziari. Ai detenuti in attesa di espulsione deve essere dato il tempo di ricorrere contro di essa. È principalmente in virtù di questa considerazione che la Corte Suprema ha quindi venerdì sera confermato che le espulsioni sono sospese. Non si tratta di una definitiva dichiarazione di illegittimità nell’uso dell’Alien Enemies Act. Ma si tratta di una prima, importante valutazione negativa da parte dei giudici. Esultano le organizzazioni per i diritti civili. In questo modo, eviteremo che “un numero sempre maggiore di individui venga rinchiuso in una brutale prigione del Texas”, ha dichiarato Lee Gelemt, avvocato dell’American Civil Liberties Union. La battaglia giudiziaria non è comunque finita. Nelle prossime settimane l’amministrazione farà di tutto per affermare la sua volontà. Ma venerdì 16 maggio, Donald Trump ha incassato lo stop sinora più bruciante, e significativo, del suo mandato.

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