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L'accusa di complicità con Videla - 5/9

Quando si presentò al mondo Jorge Mario Bergoglio era sconosciuto ai più, anche nello stesso Collegio cardinalizio: qual è stata la sua biografia precedente al papato? Dagli studi da chimico al seminario fino alla scalata nella gerarchia ecclesiastica. Ecco chi è stato il pontefice prima di arrivare al soglio di Pietro
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L’accusa di complicità con Videla

Ma le sofferenze non finirono qui. Anni dopo, Bergoglio fu accusato di essere stato complice della dittatura militare argentina di Jorge Rafael Videla, addirittura facendo arrestare due confratelli gesuiti. “I padri Ferenc Jálics e Orlando Yorio – spiegò successivamente Francesco – lavoravano in un quartiere popolare e lavoravano bene. Jálics è stato mio padre spirituale e confessore durante il primo e secondo anno di teologia. Nel quartiere dove lavorava c’era una cellula di guerriglia. Ma i due gesuiti non avevano niente a che fare con loro: erano pastori, non politici. Ma sono stati fatti prigionieri da innocenti. Non hanno trovato niente per accusarli, ma loro hanno dovuto fare nove mesi di carcere, subendo minacce e torture. Poi sono stati liberati, ma queste cose lasciano ferite profonde. Jálics è venuto subito da me e abbiamo parlato. Io gli ho consigliato di andare da sua madre negli Stati Uniti. La situazione era davvero troppo confusa e incerta. Poi si è sviluppata la leggenda che sarei stato io a consegnarli perché fossero imprigionati. Sappiate che la Conferenza episcopale argentina ha pubblicato due volumi dei tre previsti con tutti i documenti relativi a quanto accaduto tra la Chiesa e i militari. Trovate tutto lì”.

Il Papa proseguì nella storia: “Ma torniamo alle vicende che stavo raccontando. Quando sono andati via i militari, Jálics mi ha chiesto il permesso di venire per fare un corso di esercizi spirituali in Argentina. Io l’ho fatto venire, e abbiamo anche celebrato la messa insieme. Poi l’ho rivisto da arcivescovo e poi ancora anche da Papa: è venuto a Roma a vedermi. Avevamo tenuto sempre questo rapporto. Ma quando venne l’ultima volta a trovarmi in Vaticano, io vedevo che lui soffriva perché non sapeva come parlarmi. C’era una distanza. Le ferite di quegli anni passati sono rimaste sia in me sia in lui, perché entrambi abbiamo vissuto quella persecuzione. Alcuni del governo volevano ‘tagliarmi la testa’, e hanno tirato fuori non tanto questo problema di Jálics, ma hanno messo in questione proprio tutto il mio modo di agire durante la dittatura. Mi hanno, quindi, chiamato in giudizio. A me è stata data la possibilità di scegliere dove tenere l’interrogatorio. Io ho scelto di farlo in episcopio. È durato quattro ore e dieci minuti. Uno dei giudici era molto insistente sul mio modo di comportarmi. Io ho sempre risposto con verità. Ma, dal mio punto di vista, l’unica domanda seria, con fondamento, ben fatta, è venuta dall’avvocato che apparteneva al partito comunista. E grazie a quella domanda le cose si sono chiarite. Alla fine, fu accertata la mia innocenza. Ma in quel giudizio non si parlò quasi per nulla di Jàlics, ma di altri casi di persone che avevano chiesto aiuto”.

Francesco aggiunse: “Io poi ho rivisto qui a Roma da Papa due di quei giudici. Uno insieme a un gruppo di argentini. Non lo avevo riconosciuto, ma avevo l’impressione di averlo visto. Io lo guardavo, lo guardavo. Tra me e me dicevo: ‘Ma io lo conosco’. Mi ha abbracciato e se n’è andato. L’ho poi rivisto ancora e si è presentato. Gli ho detto: ‘Io merito cento volte una punizione, ma non per quel motivo’. Gli ho detto di stare in pace con questa storia. Sì, io merito un giudizio per i miei peccati, ma su questo punto voglio essere chiaro. È venuto anche un altro dei tre giudici, e mi ha detto chiaramente che avevano ricevuto indicazione dal governo di condannarmi. Ma voglio aggiungere che quando Jálics e Yorio sono stati presi dai militari, la situazione che si viveva in Argentina era confusa e non era per nulla chiaro che cosa si dovesse fare. Io ho fatto quel che sentivo di fare per difenderli. È stata una vicenda molto dolorosa. Jálics era un uomo buono, un uomo di Dio, un uomo che cercava Dio, ma è stato vittima di un entourage al quale lui non apparteneva. Lui stesso l’ha capito. Era l’entourage della guerriglia attiva nel luogo dove lui andava a fare il cappellano”.

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