Da migliaia di interazioni al silenzio: per restare visibile sui social devi pagare. Ma a che prezzo?

C’è stato un tempo in cui pubblicare su Facebook significava davvero essere letti. Senza trucchi, senza soldi, solo parole. Fino a poche settimane fa, i post sul profilo pubblico del sottoscritto raggiungevano centinaia di migliaia di persone. Poi, all’improvviso, è cambiato tutto. Nessuna violazione, nessuna segnalazione, nessun motivo apparente. Solo un crollo verticale della visibilità. È il lato oscuro della piattaforma: un algoritmo che prima ti offre spazio, poi te lo sottrae. E a quel punto, se vuoi restare visibile, devi pagare. Ma a quale prezzo?
Nei consueti nove punti di questo blog, eccovi ciò che accade quando la visibilità non dipende più dai contenuti, ma dall’algoritmo.
Cominciamo!
1. La crescita organica era solo una tregua temporanea
Costanza, qualità, autenticità. In questi anni si è tentato di postare con misura, evitando sensazionalismo, pur sapendo che può capitare. Il riscontro arrivava: sorprendente, continuo. Sembrava quasi che Facebook premiasse quel tipo di approccio, fondato su un dialogo vero con chi seguiva la pagina. Poi, nelle ultime settimane, qualcosa è cambiato. E si è fatta strada un’idea diversa: che non si trattasse di un merito, ma di una tregua. Una fase in cui l’algoritmo lascia spazio, osserva, calibra. Finché, all’improvviso, tutto si riduce. Senza spiegazioni. Senza appello.
2. La lotteria al contrario
Nessun avviso, nessuna comunicazione, nessuna violazione. Solo un silenzio che diventa via via più evidente: nei numeri, nei commenti, nei riscontri. I cosiddetti insight. È così che, per molti, si manifesta il cambio di passo. Una sorta di lotteria al contrario: invece di vincere, si perde tutto. Dopo una crescita organica costante, l’algoritmo improvvisamente abbassa la voce di chi scrive. O, più precisamente, la rende quasi impercettibile. E se si vuole tornare visibili, l’unica strada è pagare.
C’è chi ipotizza che, in questi casi, possa trattarsi di shadow ban: una penalizzazione silenziosa, non dichiarata. Ma non lo si saprà mai con certezza, perché Facebook non riconosce ufficialmente questa pratica. L’unica possibilità è scrivere e chiedere una verifica. Poi attendere. E intanto, accettare che la propria voce resti in sottofondo.
3. Una pressione silenziosa
Quando la visibilità cala senza spiegazioni, il primo impulso è cercare un confronto con la piattaforma. Ma spesso non arriva alcuna risposta. In questi casi, più che un obbligo esplicito, si manifesta una dinamica più sottile: non viene chiesto di sponsorizzare, ma diventa evidente che, senza farlo, i contenuti restano ai margini. È una forma di pressione silenziosa, mascherata da algoritmo. Nessuna comunicazione, nessuna regola dichiarata. Ma un messaggio implicito: se vuoi continuare a esistere nel flusso, devi investire.
4. Non si scrive per i like
Ma è innegabile: il riscontro ha un peso. Sapere che qualcuno legge, riflette, reagisce, dà senso a quel gesto. Il confronto, anche nel dissenso, alimenta il valore del contenuto. È questo che viene meno, quando l’algoritmo chiude il rubinetto: non tanto l’applauso, quanto l’eco. Il controcanto. La prova che il dialogo è ancora possibile. Senza quel riscontro, la scrittura – almeno sui social – rischia di spegnersi.
5. A cosa serve scrivere, se nessuno legge?
Vedere un contenuto raggiungere venti persone anziché decine di migliaia è un’esperienza disorientante. Il primo pensiero è chiedersi dove si sia sbagliato. Poi si comprende che la causa non è necessariamente legata a ciò che si è scritto. È come scrivere su un vetro appannato: le parole ci sono, ma non si leggono più. Non perché siano meno vere, ma perché qualcosa – o qualcuno – ne ha limitato la circolazione. La domanda, a quel punto, si impone: a cosa serve scrivere, se nessuno legge? Basterebbe poco: un riscontro, un’indicazione chiara da Facebook sui motivi della riduzione dell’engagement. Ma questo, di norma, non avviene.
6. Il paradosso del nostro tempo
Si è normalizzata l’idea che, per essere visibili sui social, si debba pagare. Non per promuovere qualcosa di rilevante, ma semplicemente per esserci. Intorno a questo principio si è sviluppato un intero mercato: agenzie che offrono pacchetti di like, follower, engagement. È l’economia dell’attenzione, dove anche chi non si considera un influencer finisce per adottarne i meccanismi. Un tempo eccezione, oggi regola. E a forza di starci dentro, si rischia di confondere la visibilità con il valore.
7. La scelta possibile
Di fronte a questa dinamica, c’è chi sceglie di non inseguire: né i numeri, né l’algoritmo. Si continua a pubblicare contenuti senza sponsorizzazioni, senza scorciatoie. Se vengono letti, bene; altrimenti, restano comunque. Meglio raggiungere pochi lettori autentici, o pagare per arrivare a molti? Inseguire un’idea di successo fondata sul costo di una sponsorizzata rischia di trasformarsi in una prassi – e in una dipendenza – francamente sconfortante. Rinunciare a questo meccanismo è una forma di libertà. Silenziosa, ma resistente.
8. Per non scomparire
La pressione dell’algoritmo si insinua anche nei gesti più semplici: un promemoria, un avviso, una notifica che invita a pubblicare, “per non perdere visibilità”. Ed è così che, poco alla volta, si finisce per scrivere non quando si ha qualcosa da dire, ma per non scomparire. Uscire da questa logica non è facile, ma possibile. È una questione di ritmo, di respiro, di misura.
9. A chi resta, grazie
So bene che questi nove punti faranno sorridere qualcuno, per le ragioni sbagliate. Succede sempre, quando si mette in discussione un meccanismo che molti danno per scontato. Poco importa. Si scrive per convincere, oppure per condividere? A chi è rimasto, a chi legge, a chi ha discusso con il sottoscritto, a chi ha trovato in queste parole qualcosa di proprio: grazie. Continuerò a esserci, innanzitutto su questo blog, nato nel 2011: “9 canzoni 9 di… Marco Pipitone”. Un’idea semplice, nata per stabilire un contatto con chi cerca di “essere”, e non solo di “essere … percepito”.
Ti lascio alla consueta playlist dedicata; potrai ascoltarla gratuitamente sul mio account Spotify. Scrivimi le tue opinioni sotto questo articolo oppure sul mio profilo Facebook (ammesso che tu riesca a trovarlo…)
9 canzoni 9 per … essere